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La rivoluzione colorata della Macedonia

Una ragazza scrive sulla facciata del ministero della giustizia durante una protesta antigovernativa a Skopje, il 20 maggio 2016. (Robert Atanasovski, Afp)

In gran parte del mondo l’espressionismo astratto non è più uno stile artistico all’avanguardia, ma c’è un paese in cui sta vivendo un revival: la Macedonia. Nella capitale Skopje gli artisti lavorano giorno e notte, colorando gli edifici e le statue pubbliche di tutti i colori dell’arcobaleno, con uno stile chiaramente ispirato a Jackson Pollock.

Gli artisti macedoni non possono avvicinarsi ai loro lavori come faceva Pollock (che disponeva le tele sul pavimento e spruzzava o faceva colare la pittura sopra di esse), perché ci sono cordoni di polizia a tenerli lontani. Ma hanno risolto il problema usando delle grosse fionde per lanciare dei palloncini pieni di pittura che, passando sopra le teste dei poliziotti, raggiungono le statue e gli edifici.

Si tratta di un movimento di protesta non violento ma molto intelligente, perché le statue e gli edifici in questione meritano pienamente di essere sfregiate. Sono stati tutti innalzati per ordine di Nikola Gruevski, l’uomo forte che guida il paese da un decennio, per glorificare il passato della Macedonia (versione ufficiale) o semplicemente il suo governo (secondo l’opinione comune).

Ridicola distesa di marmo

In questo delirio di costruzioni costato seicento milioni di euro hanno trovato posto Porta Macedonia (una versione ridotta dell’Arco di trionfo), una Casa Bianca dei poveri e una pletora di uffici governativi finto barocchi e parcheggi a più piani. Per non parlare delle oltre cento nuove statue, compresa quella equestre, alta 22 metri, di Alessandro Magno, che troneggia su una grande fontana di marmo.

Oggi tutta questa ridicola distesa di marmo è caduta vittima della “rivoluzione colorata” macedone, e il governo sta cominciando a scricchiolare sotto la pressione delle piazze e non solo. Anche l’Unione europea, che undici anni fa ha approvato la candidatura della Macedonia all’adesione, sta dando un giro di vite.

La Macedonia, un paese di due milioni d’abitanti senza sbocco sul mare e povero di risorse, è uno dei sette stati nati dal crollo dell’ex Jugoslavia. Come accaduto in altri paesi dell’Europa orientale postcomunista, l’Unione europea ha incoraggiato la democrazia e lo stato di diritto in Macedonia offrendo la prospettiva dell’adesione, e per un po’ di tempo ha funzionato.

Finché non è arrivato Gruevski, capo di un partito ultranazionalista che prende il nome dalla vecchia Organizzazione rivoluzionaria interna macedone (Vmro), il movimento guerrigliero che un secolo fa combatteva per l’indipendenza dall’impero ottomano. Molti dei fondatori del partito erano stati nazionalisti oppositori di Tito, ma avevano appreso lo stile comunista secondo cui la politica significa prendere e conservare il potere con ogni mezzo disponibile.

Manifestanti nella fontana di Alessandro il Grande a Skopje, il 3 giugno 2016.

La vittoria elettorale del Vmro dieci anni fa ha quindi rappresentato, in un certo senso, il ritorno al potere dei comunisti sotto un nuovo simbolo, ma con le stesse abitudini di un tempo: sfruttare la loro posizione di forza, prendere il controllo della stampa, della polizia e dell’apparato giudiziario e perfino creare un nuovo e sfarzoso quartier generale del partito, decorandolo con i loro ritratti in stile “socialista reale” sovietico.

È un po’ come la storia delle intercettazioni di Nixon, ma con dimensioni ancora più clamorose

Hanno perfino truccato le elezioni del 2012, e l’Unione ha avvertito che la domanda d’adesione della Macedonia sarebbe rimasta in sospeso se continuavano a succedere simili cose. Ma questo non li ha turbati: ormai erano al potere. E le cose sarebbero pure andate bene per loro, se non avessero ceduto al vecchio vizio comunista di mettere sotto sorveglianza i telefoni di tutto il paese, compresi i loro.

È un po’ come la storia delle intercettazioni di Nixon, ma con dimensioni ancora più clamorose. Il Vmro ha intercettato le conversazioni di ventimila persone. La maggior parte erano politici d’opposizione, giornalisti, addirittura uomini di chiesa. Ma ha registrato anche le chiamate dei suoi ministri e dello stesso primo ministro Gruevski. Queste persone non si fidano molto l’una dell’altra.

Una piccola e sgradevole dittatura

Così circa tre anni fa qualcuno ha fatto avere i nastri delle registrazioni all’opposizione: si potevano sentire i funzionari del Vmro che discutevano di corruzione, di brogli elettorali e perfino dell’insabbiamento di un omicidio. Gruevski ha affermato che le registrazioni erano state falsificate da alcuni non meglio precisati servizi segreti, ma l’Unione ha fatto capire che in mancanza di un’indagine la Macedonia poteva scordarsi l’adesione.

L’estate scorsa Gruevski ha accettato di creare un ufficio investigativo ad hoc, si è dimesso e ha formato un governo di coalizione provvisorio incaricato di organizzare nuove elezioni. Ma alla fine dello scorso inverno buona parte dei funzionari e dei ministri del Vmro è stata incriminata per gravi reati, e così ha deciso di staccare la spina.

All’inizio di aprile Gruevski ha convinto il presidente Gjorge Ivanov, anche lui componente del Vmro, a concedere la grazia a 56 politici implicati nello scandalo (compreso lo stesso Gruevski, su cui pendevano cinque capi d’imputazione). A quel punto sono cominciate le proteste di piazza, che continuano ancora oggi.

Il 6 giugno, in seguito alle forti pressioni dell’Unione europea, il presidente Ivanov ha revocato tutte le amnistie. Si continua a discutere della riorganizzazione delle liste elettorali, del ripristino della libertà di stampa e delle nuove elezioni, ma una cosa è già evidente. Senza la prospettiva di aderire all’Unione, la Macedonia (come altri stati balcanici) sarebbe semplicemente finita come una piccola e sgradevole dittatura.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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