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Alla Casa Bianca restano solo i sudditi di Trump

Rex Tillerson a Washington, il 30 gennaio 2018. (Yuri Gripas, Reuters/Contrasto)

A Rex Tillerson non andavano giù le scemenze. In una conversazione privata dopo un incontro al Pentagono aveva definito Donald Trump un cretino e non si era preoccupato di negarlo quando i giornalisti gli avevano chiesto un commento in merito alla questione. Negli incontri con il presidente alzava gli occhi al cielo e si abbandonava sulla sedia ogni volta che Trump diceva una frase che a suo parere era particolarmente stupida. È sorprendente che sia durato così tanto.

E non era nemmeno un buon segretario di stato. Ha tagliato il personale del dipartimento in nome dell’efficienza, ma molti diplomatici esperti si sono dimessi accusandolo di aver sminuito l’organizzazione. L’unico risultato che ha ottenuto nei 14 mesi di mandato è stato quello di aver impedito a Trump di compiere azioni realmente pericolose, per esempio scatenando un conflitto frontale con l’Iran. Ma la verità è che Rex Tillerson ci mancherà.

Potere feudale
Ai tempi in cui si dedicava ai reality show, Donald Trump amava sbarazzarsi dei concorrenti al grido di “sei licenziato!”, ma a quanto pare non sembra capace di farlo faccia a faccia. Preferisce usare i tweet indirizzati al mondo e lasciare che le persone scoprano così di aver perso il posto. In ogni caso il presidente si sta liberando di tutti quelli che mettono in dubbio le sue opinioni con una frequenza impressionante: in poco più di un anno almeno 35 alti funzionari sono stati licenziati o si sono dimessi.

L’effetto di questo “trambusto” alla Casa Bianca, come prevedibile, è stata la rimozione della maggior parte delle persone con idee, valori o conoscenze del mondo in disaccordo con le ossessioni di Trump, le sue politiche (sempre che ne abbia) o semplicemente i suoi capricci del momento. A questo punto restano quasi solo i sudditi.

Tra le eccezioni più notevoli ci sono i tre generali che ricoprono alti incarichi nell’amministrazione Trump: il capo dello staff John Kelly, il segretario alla difesa James Mattis e il consigliere per la sicurezza nazionale H.R. McMaster. Ma secondo le indiscrezioni McMaster potrebbe essere il prossimo a cadere, e molti si chiedono fino a quando Kelly avrà voglia di continuare a ricoprire il ruolo di tutore là in mezzo.

Trump è un populista, è repubblicano tanto quanto è democratico

L’epoca dei supervisori adulti di Trump volge al termine e il presidente è sempre più “libero di essere Donald”. Come ha dichiarato il 13 marzo, “sono arrivato molto vicino ad avere il gabinetto e altre cose esattamente come le voglio”.

Il gabinetto che Trump vorrebbe è libero da tutte le limitazioni che gli sono state inizialmente imposte dall’establishment repubblicano. Trump è un populista che prende in prestito le sue idee qua e là, è repubblicano tanto quanto è democratico. In effetti un tempo era un sostenitore del Partito democratico e ha pensato di correre per la nomination presidenziale democratica prima delle elezioni del 2008.

Ossessioni condivise
Alla fine ha scelto di prendere d’assalto il partito repubblicano, che ha cercato di vincolarlo inserendo repubblicani ortodossi nei ruoli chiave dell’amministrazione. La lotta per la libertà di Donald Trump è cominciata a luglio con l’allontanamento dell’uomo scelto dai repubblicani come capo del suo staff, Reince Preibus. La vittoria finale è arrivata nelle ultime due settimane, con le dimissioni del suo primo consulente economico Gary Cohn e il licenziamento di Tillerson.

Cohn si è dimesso il 7 marzo a causa della decisione di Trump di imporre dazi doganali sulle importazioni di acciaio e alluminio. Negli ultimi cinquant’anni il Partito repubblicano è stato un fervente sostenitore del libero mercato e Cohn teme che i nuovi dazi possano scatenare una guerra commerciale internazionale che danneggi tutti. A Trump non importa. Per lui “le guerre commerciali sono una buona cosa e sono facili da vincere”.

Attorno a Trump restano poche persone capaci di evitare che prenda decisioni disastrose

Il nuovo segretario di stato Mike Pompeo condivide l’ossessione di Trump contro il trattato internazionale che impedisce all’Iran di costruire la bomba atomica nei prossimi dieci anni. “Penso che l’accordo con l’Iran sia terribile. Immagino che [a Tillerson] andasse bene”, ha dichiarato il presidente. “Io e Mike Pompeo la pensiamo nello stesso modo. Sono convinto che lavoreremo bene insieme”.

Prepariamoci, Trump sta per alienarsi tutti gli alleati degli Stati Uniti sabotando un trattato su cui Washington ha lavorato duramente. Da quando ha sposato la tesi dell’Arabia Saudita secondo cui l’Iran sarebbe una potenza “espansionista” che va fermata, sono aumentate nettamente le possibilità di uno scontro militare tra americani e iraniani, soprattutto in Siria.

Per non parlare del possibile incontro senza precedenti con il leader nordcoreano Kim Jong-un, che Trump non ha escluso la scorsa settimana, senza però consultarsi con Tillerson. In teoria è una buona idea, perché bisogna fare il possibile per scongiurare una guerra nucleare nella penisola coreana. Ma intorno a Trump restano poche persone capaci di evitare che prenda decisioni disastrose. Ormai non riescono nemmeno a convincerlo a leggere i riassunti preparatori prima delle riunioni.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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