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Londra ricorre a espedienti ridicoli per far approvare la Brexit

I camion diretti a Manston, nel Kent, Regno Unito, 7 gennaio 2019. (Toby Melville, Reuters/Contrasto)

Come dicono i soldati, per ferirsi non c’è bisogno di allenamento. Ma il governo britannico non ha recepito il messaggio. Il 7 gennaio ha pagato 89 camionisti, dando a ciascuno 550 sterline, per simulare l’immenso ingorgo stradale che si verificherebbe nel Kent se alla fine di marzo il Regno Unito uscisse dall’Unione europea senza un accordo.

I guidatori hanno dovuto portare i loro veicoli a Manston, una pista d’atterraggio in disuso risalente alla seconda guerra mondiale, nel Kent, dove il governo progetta di parcheggiare quattromila grandi camion se il 29 marzo una “Brexit senza accordo” portasse a nuovi controlli doganali per gli automezzi diretti nell’Europa continentale. Ogni due minuti supplementari di controlli, secondo gli esperti, equivarrebbero a 15 chilometri di camion in coda sulle strade che conducono ai terminal per attraversare la Manica.

I camionisti hanno quindi disposto i loro mezzi sulla pista d’atterraggio e da lì si sono diretti verso il porto, in fila indiana, mentre gli esperti di controllo del traffico misuravano… Cosa misuravano esattamente? Non si trattava dell’intasamento stradale provocato da diecimila camion che potrebbe verificarsi a fine marzo. Era semplicemente una fila di 89 camion che procedevano senza fretta lungo una strada non trafficata. La cosa è sembrata un esercizio di pura futilità.

Senza i voti necessari
Invece c’era una ragione, di natura politica, per questa messa in scena. Ovvero convincere i britannici, e in particolare il parlamento, che il governo conservatore di Theresa May è davvero pronto a portare il Regno Unito fuori dell’Ue, anche senza accordo, se il parlamento respingerà il piano della premier britannica.

La proposta di May non piace praticamente a nessuno, né a chi vuole rimanere nell’Ue, né a quelli che vogliono uscire, perché secondo loro mantiene il paese troppo legato all’Ue.

Lasciate pure stare i dettagli, quasi teologici: il senso è che May non è in grado di far approvare dal parlamento l’accordo che ha negoziato con l’Ue, e che almeno salverebbe gli scambi commerciali. Non ha a disposizione i voti necessari. E non può neanche chiedere all’Ue di modificare l’accordo.

May ha manipolato le regole e le scadenze parlamentari per far credere che non esistano alternative legali al di fuori del suo accordo

L’opposizione al suo accordo in parlamento è così forte che ha dovuto cancellare un voto sulla questione, previsto un mese fa, perché ne sarebbe uscita sconfitta. Adesso non può tirarsi indietro dal voto previsto il 15 gennaio, ma le mancano comunque i voti. Quindi minaccia di buttarsi dalla finestra e di trascinare tutti gli altri con sé, se non la sosterranno. La cosa è diventata un gioco del pollo, in cui il pollo è chi si arrende per primo nella corsa al suicidio.

La messa in scena nel Kent fa parte di una campagna di comunicazione del governo per dimostrare che fa sul serio. Lo stesso vale per le previsioni secondo cui il caos nei porti della Manica sarà tale che il Regno Unito dovrà ricorrere ad aerei charter per procurarsi i farmaci necessari, gli scaffali dei supermercati saranno vuoti (l’isola importa il 30 per cento del suo cibo dall’Ue) e gli zombie imperverseranno nelle strade (questa è una mia invenzione, ma ho reso l’idea).

Guai seri
Il problema è che nessuno le crede. May ha manipolato le regole e le scadenze parlamentari per far credere che non esistano alternative legali al suo piano, a meno di non andare incontro a una catastrofica Brexit senza accordo. Ma non è credibile nel ruolo di aspirante suicida. Il 7 gennaio un voto in parlamento ha sancito che senza “esplicito accordo” dei deputati il governo non potrà modificare alcuna tassazione nel caso di una Brexit non concordata.

Sfortunatamente questo non significa che tale prospettiva sia impossibile. Il parlamento può bloccare il piano di May, ma in assenza di un’alternativa, la Brexit entrerà automaticamente in vigore il 29 marzo, senza un accordo. E sarebbero guai seri.

Quanto seri? Willam Hague, ex leader del Partito conservatore, lo ha sintetizzato bene sul Telegraph: “Non so cosa succederebbe dopo una bocciatura dell’accordo di May… Il caos costituzionale, il caos di un secondo referendum, il caos di un’uscita senza accordo, il caos di un governo laburista guidato da Corbyn. So solo che sarebbe un caos terribile. Chi sostiene che l’accordo sia il peggiore dei mondi possibili non ha capito quanto potrebbero mettersi male le cose”, ha concluso Hague. Come ha ammesso la stessa May, una Brexit senza accordo porterebbe il paese in un “territorio inesplorato”.

E quindi cosa succederà davvero quando il parlamento voterà a fine mese? Quasi sicuramente ci sarà più di un voto. I 650 parlamentari della camera dei comuni, non più vincolati alla fedeltà al proprio partito, data la gravità della situazione cambieranno più volte campo. Ma il rischio è che non esista alcuna maggioranza possibile per alcuna decisione, nel qual caso il parlamento finirà per votare a favore di un secondo referendum.

May ha promesso che non permetterà che questo accada, perché sarebbe un tradimento di quel 52 per cento che ha votato per uscire dall’Ue nel primo referendum del giugno 2016. Ma è probabile che alla fine accetterà questo esito, perché non è realmente una donna suicida.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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