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La trattativa in Afghanistan arriva con 17 anni di ritardo

Soldati afgani in un centro di addestramento a Kabul, 27 gennaio 2019. (Omar Sobhani, Reuters/Contrasto)

“I taliban si sono impegnati, con nostra soddisfazione, a rispettare quanto necessario per evitare che l’Afghanistan possa diventare una piattaforma per terroristi o gruppi terroristici internazionali”, ha dichiarato Zalmay Khalizad, il funzionario statunitense incaricato delle trattative di pace in Afghanistan, il 29 gennaio scorso. Ma allora perché gli Stati Uniti non hanno discusso la stessa questione con i taliban 17 anni fa, nell’ottobre 2001?

Il rappresentante degli Stati Uniti ha appena trascorso sei giorni a negoziare con i talebani in Qatar, e ha ottenuto da loro la promessa che non permetteranno mai a formazioni terroristiche come Al Qaeda o il gruppo Stato islamico (Is) di usare l’Afghanistan come base per le loro attività. I taliban sono islamisti e nazionalisti (nonostante l’incompatibilità di questi due princìpi), ma non sono mai stati dei terroristi internazionali.

La reazione sbagliata
Ora bisognerà scegliere le date per il ritiro definitivo degli Stati Uniti dall’Afghanistan (tra circa 18 mesi) e aprire dei negoziati diretti tra il governo afgano, sostenuto da Washington, e i taliban. C’è ancora molto da fare, ma la cosa potrebbe funzionare.

E quindi congratulazioni a Donald Trump, e vergogna a quegli analisti ed esperti di Washington che non hanno mai avuto la forza di consigliare semplicemente di mettere fine alla più lunga guerra mai condotta dagli Stati Uniti. Alcuni di loro sono le stesse persone che 17 anni fa non si sono rese conto che quei negoziati dovevano svolgersi allora.

L’invasione dell’Afghanistan compiuta dagli Stati Uniti nell’ottobre 2001 è stata sempre e solo spiegata come reazione agli attentati alle due torri dell’11 settembre 2001. Il paese è stato preso di mira perché i taliban, che erano saliti al potere cinque anni prima, avevano permesso a Osama Bin Laden e al suo gruppo di estremisti islamisti di creare una base in Afghanistan, e si è dato per scontato che gli stessi taliban fossero coinvolti nei terribili attentati di New York e Washington.

Tra il 1996 e il 2001 i taliban non ebbero nemmeno una politica estera degna di questo nome

Questa ipotesi era quasi certamente sbagliata. I taliban erano saliti al potere nel 1996, dopo una guerra durata dieci anni contro gli invasori sovietici e dopo sette anni passati a combattere la guerra civile che ne era conseguita. Erano rimasti a lungo sulle colline e adesso si godevano il potere, compiendo azioni allo stesso tempo ridicole e atroci.

Hanno escluso le donne dalla vita pubblica, chiudendo le scuole femminili. Hanno imposto agli uomini di farsi crescere la barba e alle donne d’indossare il burqa. Hanno vietato musica, film e televisione. Hanno inflitto mutilazioni per piccoli crimini e mandato al patibolo per crimini appena più gravi (molti dei quali non sono neppure reato in tutti gli altri paesi islamici). E si sono totalmente disinteressati al resto del mondo. Sotto i taliban, l’Afghanistan non ebbe neppure una politica estera degna di tal nome.

Una finta telefonata
Ma il leader di questo regime, il mullah Omar, era un amico personale di Osama Bin Laden, che aveva incontrato in Pakistan negli anni ottanta (entrambi erano impegnati nella guerra contro l’occupazione sovietica).

E quindi, quando Bin Laden fu costretto dall’amministrazione Clinton a lasciare il suo rifugio in Sudan, nel 1996, Omar gli permise d’installare un accampamento nell’Afghanistan meridionale, intimandogli di non effettuare attività politiche sul suolo afgano. Bin Laden ha abusato di questa ospitalità e ha approvato gli attentati dell’11 settembre da qui (la pianificazione vera e propria è stata perlopiù condotta in Germania).

Il mullah Omar era quindi personalmente coinvolto negli attentati? Ne era stato informato in anticipo? Provate a immaginare la conversazione telefonica (Bin Laden non parlava pashtu, ma Omar parlava arabo).

“Omar, habibi, sono Osama. Come stanno le mogli e i bambini”.

“Non male, grazie. I tuoi?”.

“Senti, Omar, ti do un’anticipazione. La prossima settimana i miei uomini attaccheranno gli Stati Uniti e uccideranno alcune migliaia di americani. Mi spiace ma daranno la colpa anche a te. Sarete invasi e spodestati, e i tuoi taliban dovranno passare altri dieci anni sulle colline mentre uomini armati daranno loro la caccia. Ma è per una buona causa. Spero non sia un problema per te”.

“Certo, Osama. Buona fortuna”.

Sono abbastanza certo che una simile conversazione non si sia mai svolta. Perché mai Osama Bin Laden avrebbe informato in anticipo il mullah Omar degli attentati, correndo il rischio che il mullah non fosse d’accordo? La maggior parte dei taliban si sarebbe probabilmente arrabbiata per il pericolo mortale a cui Bin Laden li stava esponendo.

Gli Stati Uniti avrebbero potuto convincere i taliban a consegnare Bin Laden per evitare di essere invasi e di perdere il potere? Magari sarebbe stato impossibile convincere il mullah Omar, ma molti dei dirigenti più giovani non erano davvero ansiosi di essere bombardati e obbligati a lasciare le città per tornare sulle colline.

Le giuste parole
E se all’inizio non fossero stati convinti, sarebbe bastato distribuire un po’ di denaro. Non si possono comprare i fanatici religiosi, ma a volte è possibile noleggiarli se si trovano, oltre ai soldi, le giuste parole.

Perché non è stato fatto almeno un tentativo? Probabilmente perché negli Stati Uniti era necessario dare una dimostrazione di forza. A un crimine così orrendo non si poteva rispondere semplicemente con la diplomazia e con azioni legali. Quel che serviva erano una vendetta sanguinosa e una catarsi. E quindi l’Afghanistan è stato invaso, e svariate altre centinaia di migliaia di persone sono morte nei successivi 17 anni.

E visto che è sempre stato molto facile invadere l’Afghanistan (anche se quasi impossibile restarci), un’invasione non ha fornito una catarsi sufficiente. Trenta mesi dopo George W. Bush ha invaso pure l’Iraq, anche se nel paese non c’erano terroristi (né armi di distruzione di massa), e centinaia di migliaia di altri esseri umani sono morti.

E adesso stanno finalmente negoziando quello stesso accordo con i taliban che probabilmente poteva essere ottenuto nel 2001. Risparmiando così un sacco di tempo.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Da sapere

Il 28 gennaio gli Stati Uniti e i taliban, dopo sei giorni di colloqui a Doha, in Qatar, hanno annunciato di aver concordato le linee generali di un possibile accordo che metterebbe fine a 17 anni di guerra in Afghanistan. In realtà i taliban per ora si sono impegnati genericamente a “fare il necessario perché il paese non diventi una piattaforma per il terrorismo internazionale”, senza però accettare le condizioni poste da Washington per procedere con i colloqui: tra queste, un cessate il fuoco prima del ritiro delle truppe americane e l’inizio di colloqui con il governo di Kabul, che i taliban considerano un fantoccio guidato dagli Stati Uniti e con cui si sono sempre rifiutati di parlare. L’innegabile progresso nelle trattative, quindi, non garantisce che un accordo sia vicino. Ma la fretta dell’amministrazione Trump di ritirare le truppe rischia di portare verso un accordo al ribasso a favore dei taliban e di lasciare l’Afghanistan di nuovo nelle loro mani.

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