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In Etiopia la vecchia guardia combatte uno scomodo premier

Un locale di Addis Abeba trasmette un notiziario con gli aggiornamenti sul tentativo di colpo di stato, il 23 giugno 2019. (Mulugeta Ayene, Ap/Ansa)

Il primo ministro etiope Abiy Ahmed è un uomo molto fortunato. Nell’ultimo anno è sopravvissuto a tre tentativi di ucciderlo o di deporlo.

Lo scorso giugno è sfuggito illeso a un attacco a colpi di granate che ha ucciso una persona e ne he ferite molte altre durante una manifestazione. A ottobre il suo ufficio nella capitale, Addis Abeba, è stato circondato da soldati in sommossa che minacciavano di ucciderlo a causa dei salari bassi, ma lui li ha convinti a demordere. E sabato scorso è uscito illeso da un tentativo di colpo di stato militare.

È stato un tentativo molto serio. Il generale Se’are Mekonnen è stato ucciso nella capitale a colpi d’arma da fuoco dalla sua stessa guardia del corpo, insieme a un altro generale che era in visita a casa sua. Abiy aveva messo Se’are a capo dell’esercito etiope, una nomina controversa, appena un anno fa.

Quasi contemporaneamente, un altro degli ufficiali nominati da Abiy, Ambachew Mekonnen, governatore della regione chiave dell’Amhara, è stato assassinato insieme al suo più fidato consigliere nella capitale della regione, Bahir Dar. Si è trattato chiaramente di un complotto abbastanza ampio, ma la sua coordinazione probabilmente non ha funzionato. La polizia sta ancora fermando dei sospetti cospiratori, e Abiy Ahmed è ancora il primo ministro.

È un fatto positivo, perché Abiy Ahmed è la migliore possibilità per l’Etiopia di rompere il ciclo di tirannie che ha rovinato la sua storia moderna. È il secondo paese dell’Africa (102 milioni di persone) e una delle economie in più rapida crescita del mondo, ma la sua politica è stata maledetta.

Nel secolo scorso è passato da una monarchia medievale alla dominazione fascista (è stata conquistata dall’Italia di Mussolini negli anni trenta), per poi tornare a una tirannia solo leggermente meno medievale per altri trent’anni, fino a un colpo di stato guidato dai marxisti nel 1974.

La giunta Derg ha assassinato l’imperatore e mezzo milione di altri etiopi – per lo più quelli più istruiti – durante il Terrore rosso, che quasi raggiunge il livello dei campi di sterminio dei Khmer rossi. Poi, dopo quasi due decenni, l’Unione Sovietica è crollata, gli aiuti stranieri ai paesi comunisti si sono fermati e la giunta è stata rovesciata a sua volta nel 1991.

Questa volta il vincitore era una coalizione di gruppi ribelli – militarizzata e resa brutale da una lunga guerra di guerriglia contro la Derg – che rapidamente ha preso i posti del potere e ci è rimasta comodamente fino all’anno scorso, quando la difficile matassa è stata messa nelle mani di Abiy Ahmed.

Dal 2015 circa tre milioni di etiopi sono diventati profughi interni, principalmente a causa di lotte per la terra

Lo hanno fatto perché il caos stava sfuggendo di mano. L’Etiopia è un paese molto complicato: ci sono quattro grandi gruppi etnici, che si sono combattuti l’un l’altro nel corso della lunga storia del paese, e una miriade di piccoli gruppi etnici. Il paese è anche diviso tra una maggioranza cristiana e un’importante minoranza musulmana.

A peggiorare le cose c’è il fatto che uno dei più grandi gruppi etnici, quello dei tigrini, dominava i servizi militari e di intelligence – e quindi il regime nel suo insieme – senza lasciare alcun brandello di democrazia in nessuna parte del sistema. C’erano delle elezioni pro forma, ma alle ultime, nel 2015, nessun candidato dell’opposizione ha vinto un seggio in parlamento.

Più i tigrini dominavano il centro del paese, più il governo federale diventava impopolare, mentre nel frattempo l’incessante crescita demografica del paese intensificava le dispute sulla terra tra gruppi etnici rivali. Dal 2015 circa tre milioni di etiopi sono diventati profughi interni, principalmente a causa di lotte per la terra.

Così nell’aprile 2018, in preda alla disperazione, il Fronte democratico rivoluzionario del popolo etiope, al potere, ha consegnato la guida del governo ad Abiy Ahmed.

Abiy è certamente un “figlio del partito”, al quale si è unito a 15 anni, ma è un riformatore che può andare bene a tutti. Suo padre era musulmano, sua madre era cristiana. Essendo un oromo, appartiene ai più bassi gradini dell’ordine gerarchico etnico etiopico (nessun oromo ha mai ricoperto un incarico così elevato). Parla fluentemente afaan oromo, amarico, tigrino e inglese. Ed è un uomo molto moderno.

Sapeva che doveva muoversi velocemente, così ha immediatamente messo fine allo stato di emergenza e ha cambiato quasi tutti gli ufficiali militari di alto livello. Ha nominato un governo composto per metà da donne, più una donna come presidente e una a capo della corte suprema.

Ha rilasciato migliaia di prigionieri politici. Ha liberato i mezzi d’informazione, ha messo la leader del partito di opposizione alla guida della commissione elettorale e l’ha incaricata di organizzare delle elezioni libere nel 2020.

Ha fatto pace e riaperto il confine con l’Eritrea dopo vent’anni di guerra calda e fredda. Ha fatto piuttosto bene tutto ciò che gli veniva in mente, e lo ha fatto in poco più di un anno. Eppure la sua posizione è ancora molto precaria.

Non potrebbe essere altrimenti: le probabilità sono contro di lui. Ma ancora nessuno è riuscito a deporlo.

(Traduzione di Stefania Mascetti)

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