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Il tuo uomo

Kano, Nigeria, maggio 2015. (Goran Tomasevic, Reuters/Contrasto)

Lo sapevi, ma non ti importava. Che non credesse che il tuo Gesù fosse il figlio di Dio. Che fumasse la shisha. Che capisse esattamente cosa provavi. Ti metteva a tuo agio. Ti faceva domande. Ti diceva cosa leggeva nei tuoi occhi, i tuoi occhi marroni e dal taglio orientale. E ti ha reso davvero facile innamorarti di lui. Anche lui si è innamorato di te.

A lui non importava che tu non pregassi il suo stesso Dio e che non avessi intenzione di convertiti. Che tu e tua madre beveste entrambe birra. Non gli importava nemmeno del fatto che convincere la sua gente non sarebbe stato facile.

È venuto a conoscere tua madre e l’ha subito adorata, soprattutto il suo modo di sorridere. A tua madre lui è piaciuto anche di più – e anche il suo modo di comportarsi con te. Non le importava cosa lui fosse. Aveva sposato il suo tipo ideale e guarda com’era andata, diceva. Gli zii del villaggio, loro sì, si sarebbero opposti.

Lui era alto e magro, con il naso fino. Proprio come gli uomini che avevano attaccato il loro villaggio. “Ma tu non sei come loro, come la tua gente”, gli ha detto tua madre, guardandolo dritto negli occhi. E non glielo stava chiedendo. Glielo stava dicendo. Lei non sperava che lui fosse diverso, gli stava dicendo che lo era. Doveva per forza essere diverso da loro. Allora gli zii non si sarebbero più opposti. Lei sapeva come fare, avrebbe trovato una soluzione, tua madre ve lo aveva garantito.

Non volevi che dormisse al villaggio. Era pieno di malintenzionati. Gente ancora infuriata per l’ultimo attacco del mese precedente

Tu hai conosciuto sua madre. Alta come lui. Gentile, come lui. Con un grazioso naso appuntito, proprio come lui. Suo marito è morto. Come tuo padre. In un incidente. Sulla strada per Makurdi. Suo marito mentre andava a Lagos. Tua suocera diceva grandi cose di suo marito, ogni volta che poteva. Tua madre parlava sempre male di tuo padre. Ogni volta che poteva. Tu gli hai raccontato della sorella della cui esistenza tu e tua madre siete venute a conoscenza poco prima che tuo padre morisse. Gli hai fatto promettere che non avrebbe avuto mai un’altra donna. Come invece faceva tuo fratello e tuo padre aveva fatto. Lui ti ha fatto promettere che saresti sempre stata dolce. Come già eri. Come era tua madre. Tu hai promesso, lui ha promesso.

Tua madre ha convinto i tuoi zii a concedergli almeno un incontro. Sua madre ha lasciato che facesse ciò che voleva. Sua madre non ha preteso da te alcuna promessa. Non come aveva fatto tua madre, che lo aveva fatto promettere. Avete stabilito insieme il giorno in cui andare a incontrare i tuoi zii.

Avevano i volti austeri, gli zii. Ad uno ad uno, gli hanno fatto le loro domande. Domande molto dure, che ti hanno fatto piangere. Domande per cui avresti voluto mandarli tutti all’inferno. Tua madre, che lo sapeva, ti ha stretto la mano. Così che non balzassi in piedi urlando. Rovinando tutto. Gli hanno chiesto della sua gente, del perché avessero attaccato il tuo villaggio. Lui ha giurato di non sapere il perché. Non si interessava di politica. Quelle morti erano una tragedia da entrambe le parti. Lui era un dipendente pubblico che di tanto in tanto vendeva qualche mucca per vivere. Non si interessava di altro. A un certo punto si sono stancati, gli zii. Hanno detto che ci avrebbero pensato. Hanno detto che avrebbero fatto sapere la loro decisione a tua madre. Tua madre ha sorriso. Sapeva che era un loro tortuoso modo per dire di sì senza dirlo. Ed era felice. Tu eri felice.

Lui ti ha chiesto allora se ci fosse un albergo nel villaggio. Non volevi che dormisse al villaggio e tua madre era d’accordo con te. Il villaggio era pieno di malintenzionati. Gente ancora infuriata per l’ultimo attacco del mese precedente. Lei invece sarebbe rimasta per appianare definitivamente le cose con gli zii.

Ti ha accompagnata a casa, a due ore di macchina dalla città. Siete passati per diversi posti di blocco. Tipi dall’aspetto sinistro che appartenevano alle ronde locali. Ogni volta vi puntavano le torce negli occhi, poi vi facevano segno di proseguire. Si stava facendo tardi, ma ne valeva la pena. Lui era stanco. Tu forse anche di più. Era contento che le cose non fossero andate male come temeva. Tu eri felice di come aveva saputo mantenere la calma mentre i tuoi zii lo cuocevano a puntino. Ti ha detto che non era stato nulla. Lui ti voleva. E tu gli hai risposto che era dolce. Che anche tu lo volevi.

L’ultimo posto di blocco non aveva il solito aspetto. Tronchi e pietre al posto delle transenne e dei sacchi di sabbia. Uomini a petto nudo anziché in uniforme o con un giubbotto antiproiettile. Machete al posto di pistole e fucili. Appena vi siete fermati i ragazzi hanno colpito la vostra macchina urlando e intimandovi di scendere. Lui è stato il primo a uscire dalla macchina. Era uno che affrontava le situazioni a testa alta. Hai capito allora che parlavano la tua lingua. Ti sei sentita sollevata. Hai parlato con loro, chiesto cosa stesse succedendo. Qualcuno aveva fatto girare la notizia: un uomo era stato trovato morto nella sua fattoria. Una freccia nello stomaco. La gola squarciata. Le mani tagliate via di netto. Proprio come quelli del mese precedente. Hanno sentito che parlavi la loro lingua, allora hanno detto di rimontare a bordo e proseguire. Lui ha chiuso la sua portiera. Tu hai chiuso la tua. Poi qualcuno ha chiesto chi fosse lui. Hai detto che era tuo marito. In fondo praticamente lo era, hai pensato. Gli zii avrebbero dato il loro assenso.

Il nemico
Lo hanno di nuovo guardato. Somigliava troppo a quelli venuti il mese prima. Gli hanno chiesto di dove fosse. Tu hai cominciato a supplicare anziché rispondere. Lui, da uomo coraggioso quale era, ha acceso il motore e provato a passare. Ma c’erano i tronchi, le pietre. Non ci è riuscito. Allora vi hanno trascinati entrambi fuori dalla macchina. Vi hanno separato. Lo hanno costretto a spogliarsi e gli hanno legato le mani. Ti hanno costretto a guardare. Ti hanno legato le mani. Allora, da uomo coraggioso quale era, ha provato a parlare con loro. Non sono stato io a farvi del male, a uccidere la vostra gente. Non io né la mia famiglia. Sono un uomo innocente che sta provando a prendere in moglie una vostra sorella. Tu hai desiderato che non avesse parlato. Il loro leader ha detto pieno di rabbia che la sua gente aveva ucciso la loro ed ora rubava le loro donne. Il capo gli ha sputato addosso e lo ha colpito alla testa con un bastone. Ti hanno costretto a guardare. E tu imploravi. Imploravi per la sua vita. Hai detto che eri stata tu a portarlo da quelle parti.

Lui si è rimesso a sedere dritto, mentre la sua testa sanguinava, e ha guardato il capo dritto negli occhi. Da uomo impavido quale era. Gli ha detto “Uccidermi non riparerà alcun danno”, da uomo impavido quale era. Allora il loro capo non ci ha visto più dalla rabbia e lo ha finito con il machete. Lui, il tuo uomo, non ha lanciato un solo grido. Non ha versato una lacrima. Né implorato. Da uomo impavido quale era. Anche mentre guardavi il suo corpo contorcersi, eri orgogliosa di lui. Era il tuo uomo.

Poi ti hanno trascinato via dalla strada. Ti hanno portato vicino a degli alberi. Ti hanno strappato via i vestiti. Poi, a turno, ti hanno strappato via la dignità. Se potevi farlo con lui, il nemico, allora potevi farlo anche con tutti loro, questo ha detto il capo. Qualcuno ti ha picchiato. Qualcuno ti ha ferito con una lama. A fondo. Promettevano che non ti avrebbero ucciso. Quella era solo una lezione per essere stata a letto con il nemico. Le lacrime ti scorrevano sul viso, ma hai tenuto duro. Ti sei rifiutata di implorarli. O gridare. Nemmeno quando hai capito che ti stavano uccidendo. Come avevano fatto con lui, il tuo uomo.

(Traduzione di Maria Chiara Benini)

Questo articolo è stato pubblicato su Medium.

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