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Disagio can dance

1. Lcd Soundsystem, Oh baby
C’è proprio di tutto nei capannoni di James Murphy, aggregatore di elettronica, attitudine rock e spleen esistenziale di mezza età che con questo pezzo apripista del suo American dream fa partire un metronomo che somiglia a un pezzo dei Suicide di Alan Vega e alle nostre vite bipolari. È il dolce grido d’allarme di una civiltà esausta, o semplicemente un dream pop di fattura superiore? Sulle efficienti architetture sonore da Pilates per replicanti la voce forzata, disagiata di Murphy fa pensare a un vecchio Rick Deckard smarrito tra i Pet Shop Boys.

2. Alberto Nemo, In-somnem
C’è poca captatio benevolentiae e molta liturgia in questo musicista di Rovigo, cofondatore della Dimora Records. Il registro espressivo dominante, nel suo album 6x0 live (vol.1), è quello elegiaco: ci sono una voce, una viola, e forse delle candele. Suona bene, e come in certe cose dei Dead Can Dance c’è poco da stare allegri, ma ci sono anche buone chance di rimanere affascinati. Nemo si descrive come “fragile ed estremamente sensibile” e reduce da “un’adolescenza tormentata dalla depressione”. Forse questa è (anche) arte terapia.

3. Will Samson, Welcome oxygen
È aria pura l’ambient folk che si trascina dietro costui, insieme a chitarra, computer, tastiere, microfono, registratori a nastri. A questi aggiunge la voce dolce con cui incide, facendo coretti con se stesso tra foreste e città. Inglese di origini lusitano-indiane, è andato a cercare ispirazione a Lisbona, finendo anche in ospedale con qualche dente rotto. L’importante è che tutto sia finito bene e le otto ballate pastorali composte di ritorno a Londra in dieci giorni (e radunate nell’album Welcome oxygen) ne sono la prova. Forse mollare Bruxelles e l’elettronica fa bene.

Questa rubrica è stata pubblicata l’8 settembre 2017 a pagina 91 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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