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Campi moderni

1. Le Trio Joubran, Carry the Earth (feat. Roger Waters)
Gli accordi intrecciati di Adnan, Samir e Wissam Joubran, fratelli nati a Nazareth da una famiglia di liutai, e i versi di Mahmoud Darwish, che fu poeta militante e membro esule dell’Olp, vengono resi con la gravitas che gli è propria dall’ex Pink Floyd e supporter della causa palestinese Roger Waters. Uno strumento in più per attirare l’attenzione di orecchie occidentali su The long march, un album di mistero mediorientale, poesia di oud con inserti elettronici (può fare da sfondo ad abluzioni in hammam di città).


2. The Inspector Cluzo, A man outstanding in his field
È un riff di chitarra elettrica di quelli secchi e taglienti alla Keith Richards a tracciare il solco. E sono due contadini della fu Guascogna che lo decantano; non solo il solco, ma il suolo, la campagna circostante: benvenuti nel mondo rock’n’rural di Laurent Lacrouts e Mathieu Jourdain, cotitolari di banda ma anche di fattoria (Lou Casse) con annesso allevamento. L’album con cui festeggiano il decennale, We the people of the soil, sa di antiglobalizzazione e pesto di chitarra e batteria. E onestà corretta armagnac.


3. Lady Gaga & Bradley Cooper, Shallow
C’è poco da fare. Ormai è chiaro che è una delle canzoni più belle dell’anno. Nel titolo evoca un piattume da cui si solleva con l’anima, grazie a due interpreti che ci credono e tirano fuori da parole vaghe e in odore di universalità il senso di ambire a qualcosa di meglio. Si può pure evitare il film A star is born, con i dolori del giovane Cooper e la Gaga costretta a un finale neomelodico con abiura. Ma, con la miseria che ci circonda, il duetto cattura bene una residua speranza di sottrarsi, elevarsi, trascendere questo “modern world”.


Questo articolo è uscito il 26 ottobre 2018 nel numero 1279 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero| Abbonati

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