×

Fornisci il consenso ai cookie

Internazionale usa i cookie per mostrare alcuni contenuti esterni e proporti pubblicità in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di più o negare il consenso, consulta questa pagina.

La decisione di Israele di chiudere Al Jazeera è controproducente

L’interno della redazione di Al Jazeera a Gerusalemme, in Israele, il 7 agosto 2017. (Ammar Awad, Reuters/Contrasto)

Il provvedimento del governo israeliano per porre fine alle operazioni del canale televisivo Al Jazeera nel paese non stupisce di per sé, tenuto conto dell’irritazione manifestata dal governo nei confronti della copertura completa e in diretta che negli ultimi vent’anni Al Jazeera ha dedicato agli eventi in Israele e nei territori arabi che ha occupato (Palestina) o contro cui ha condotto una guerra (Libano).

L’aspetto sconcertante della decisione del governo israeliano è di averla esplicitamente collegata alle politiche dei quattro paesi arabi che assediano il Qatar e chiedono a loro volta la chiusura di Al Jazeera. Questo panorama è affascinante per diverse ragioni, come per esempio il disprezzo dei regimi autocratici nei confronti di mezzi d’informazione liberi e professionali e il desiderio di Israele di creare rapporti più stretti con gli stati arabi del Golfo per ottenere di fatto carta bianca con i palestinesi, che oggi sono in una posizione molto debole.

Questo modello di comportamento caratterizza non solo Israele e le autocrazie arabe come l’Arabia Saudita e l’Egitto, ma emerge oggi con evidenza in paesi della Nato come gli Stati Uniti e la Turchia, i cui leader combattono apertamente contro i mezzi d’informazione. È una situazione in linea con l’eredità moderna di autocrati che di solito danno la colpa dei loro problemi ai mezzi d’informazione e a entità straniere quando la loro autorità viene messa in discussione.

Dal governo legittimo al totalitarismo
La decisione israeliana di chiudere Al Jazeera riflette una tendenza più ampia che coinvolge autocrati di diversi continenti impegnati nel tentativo di controllare le loro società plasmando interamente il flusso di notizie e opinioni. Si tratta di un passaggio di cruciale importanza dal governo maggioritario o legittimo all’autoritarismo e poi al totalitarismo, in cui i cittadini sono trattati come robot o come bambini.

Questo è più evidente in molti paesi arabi, dove i mass media sono una riserva esangue e debole di testi e materiali audiovisivi innocui che riflettono le diverse angolature di un unico punto di vista definito dal governo, spesso associato alla venerazione eroica del grande leader del paese. Israele non può farlo con il suo vivace giornalismo in lingua ebraica, ma adesso, con la chiusura di Al Jazeera, sta cercando di unirsi a quei governi arabi che proibiscono qualsiasi copertura informativa che critichi le politiche dello stato.

Non c’è da stupirsi se ora i governi arabi e pure quello israeliano prendono di mira Al Jazeera perché mette in luce aspetti reali di queste società che i leader preferirebbero non far conoscere all’opinione pubblica. Il successo di Al Jazeera è andato alle stelle pochissimo tempo dopo la sua nascita, a metà degli anni novanta, proprio perché ha fornito notizie sulle vicende politiche importanti del mondo arabo che stavano a cuore ai comuni cittadini.

Sotto questo aspetto il canale televisivo riflette in un certo senso la permanenza di un sentimento panarabo espresso dal pubblico dell’area quando s’interessa alle storie di altri cittadini arabi che combattono per i loro diritti, la loro dignità e il loro benessere in Iraq, in Siria, in Palestina, in Egitto, in Arabia Saudita, in Yemen o in Bahrein.

Perciò agli occhi di Israele, degli autocrati arabi e di sporadici governi stranieri arrabbiati, Al Jazeera è un fenomeno pericoloso che “incita alla violenza” (per Israele), o “promuove il terrorismo” e gruppi pericolosi come i Fratelli musulmani (per l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, l’Egitto e qualche altra autocrazia araba).

Questi governi dimostrano di capire bene perché Al Jazeera è così pericolosa per loro e per la loro eterna permanenza in carica

Il vero pericolo di Al Jazeera è quello di dare voce e visibilità ai sentimenti di centinaia di milioni di uomini e donne arabi che non possono esprimere pubblicamente i loro punti di vista né metterli al servizio di un’azione politica pratica. Forse i regimi autocratici hanno buone ragioni per temere Al Jazeera, tenuto conto del sentimento di rivolta contro i governi che ha alimentato le primavere arabe del 2010-2011.

Ingenuità e incompetenza
Questi governi dimostrano di capire bene perché Al Jazeera è così pericolosa per loro e per la loro eterna permanenza in carica. Tuttavia sono anche ingenui se pensano di poter mantenere i loro paesi in condizioni di sudditanza mettendo al bando Al Jazeera, trasformando i loro mezzi d’informazione nazionali in marionette e cercando di mettere a tacere l’opinione pubblica.

Sono così incompetenti (e ai più alti livelli) che sembrano ignorare che nel nostro mondo fatto di mezzi di comunicazione digitali e social network è impossibile controllare interamente il flusso di notizie e punti di vista in qualsiasi società.

Il tasso di penetrazione dei social media in Arabia Saudita, negli Emirati Arabi Uniti e in altri stati del Golfo è tra i più alti al mondo perché i cittadini, soprattutto i più giovani che formano il 60 per cento della popolazione, vogliono avere accesso a un’ampia gamma di punti di vista e a di forme d’intrattenimento, e desiderano esprimersi e discutere con altri di questioni per loro rilevanti.

Perciò vietare canali televisivi (come Al Jazeera) o strumenti di comunicazione (come WhatsApp) si rivela controproducente poiché di solito genera un desiderio più forte di accedervi. Provvedimenti del genere, inoltre, fanno apparire un governo ancora più simile a una dittatura, spingono le persone ad averne meno rispetto e lo associano alla confraternita mondiale dei criminali che controllano i mezzi d’informazione, approfondendo un divario tra stato e cittadino che può sfociare solo in tensioni sociali e politiche.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

pubblicità