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La paura dei flash non passa mai

Dato che ho appena cominciato un’altra giostra promozionale, nelle ultime due settimane sono stata fotografata un bel po’ di volte e non smetto mai di stupirmi di quanto sia difficile: dopo tutti questi anni, il fatto stesso di trovarmi davanti a una macchina fotografica mi mette ancora in crisi. So di non essere la sola, e in realtà mi chiedo se il bello dei selfie non stia proprio nell’assenza di un fotografo che ti guarda. Nessun occhio umano che fissa e giudica, solo quell’obiettivo imparziale e la possibilità di cancellare tutto finché il risultato non ti soddisfa.

In un servizio fotografico molto dipende dalle capacità sociali e dalla personalità del fotografo. Di recente, uno di loro mi ha detto che ero “molto fotogenica”, cosa che mi ha elettrizzato e al tempo stesso sorpreso, visto che una vampata della menopausa mi aveva appena costretto a rimandare il trucco in attesa che si trovasse un ventilatore, un condizionatore d’aria o una finestra a cui affacciarmi. Pochi giorni dopo un altro fotografo ha rimproverato me e la regista Carol Morley perché eravamo “incapaci di rilassarci”. Indovinate quale di questi due commenti mi ha messo più a mio agio davanti all’obiettivo?

Così le sedute possono essere molto diverse, e diversi i risultati. In passato, per esempio, mi piaceva lavorare con Juergen Teller, con il suo approccio da pistolero, una fotocamera in ogni mano: punta e spara, punta e spara, a volte con indosso un sarong. C’era una sensazione di pericolo, ma era un pericolo artistico, non morboso, e almeno a lui non importava se sembravi quello che eri. Non cercava il bello, ma l’interessante. E poi c’era Marcelo Krasilcic – l’autore delle foto per la copertina dell’album Walking wounded degli Everything But the Girl – che fece apparire Ben e me come una versione glamour di noi stessi. Anche lui dava l’impressione che gli piacesse quello che vedeva, e che volesse solo renderlo al meglio.

D’altra parte, c’è un fotografo che sul suo sito mi descrive come la persona più antipatica con cui abbia mai lavorato. Immagino che sia perché mi aveva spaventata, e da giovane la paura mi faceva scattare e dare il peggio di me. Allo stesso modo, può essere frustrante anche quando il direttore di una rivista ha già una sua idea di come dovrei apparire: se in 19 scatti guardo l’obiettivo con aria di sfida e nel ventesimo guardo fuori della finestra con aria malinconica, va sempre a finire che viene scelto quello.

Essere fotografate e guardate è quasi sempre difficile per noi che non abbiamo un fisico da modelle o da dive del cinema. L’anno scorso, Sarah Millican ha scritto della sua esperienza di candidata e presentatrice ai premi Bafta. Era eccitata di trovarsi lì, ma anche intimidita – “mi hanno scattato qualche foto in cui apparivo impacciata accanto a un muro di paparazzi. Impacciata perché non sono una modella (sono una comica) e non ho mai imparato a posare su un red carpet (sono una comica)” – e alla fine è rimasta sconvolta dalla crudeltà dei commenti sul suo vestito. In un momento di sincerità che gli è valso le simpatie e il sostegno di tutte le donne, ha confessato che quelle critiche erano state “come uno spillo che ha fatto scoppiare il mio palloncino rosso… Il mio vestito è stato fatto a pezzi dalle masse… In macchina ho pianto”.

Ho sopportato cose di questo tipo per tutta la mia carriera, anche se in misura minore perché negli anni in cui ero una pop star, internet quasi non esisteva (e in questo caso ringrazio il cielo). Ma ricordo truccatori e cameraman che confabulavano tra loro a bassa voce mentre cercavano – senza molto tatto – un modo per farmi sembrare più bella. Ricordo che mi dicevano di tirare in dentro la pancia, anche se pesavo 53 chili, e ricordo un video in cui il trucco si scioglieva e le orecchie mi diventavano rosse, ma ho dovuto continuare a cantare lo stesso anche se mi sentivo brutta. Oggi guardo quel video e penso che ero bella. Certo che lo ero: avevo 23 anni.

Ma non vi racconto tutto questo perché sono depressa o a caccia di complimenti, lo faccio perché spero che più diciamo queste cose ad alta voce – come Sarah Millican ha fatto così bene – più ammettiamo che fa male quando qualcuno ci attacca in modo crudele per il nostro aspetto, e più impareremo a essere gentili. E allora essere fotografati sarà facile! O almeno spero.

(Traduzione di Diana Corsini)

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