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L’Ocse scende in campo

I sistemi complessi (l’amministrazione di uno stato o il modo di alimentarsi o di parlare o scambiarsi beni eccetera) sono dominati dall’inerzia degli aggregati. Non cambiano di colpo, ma solo per lenta sedimentazione di spinte all’innovazione. I sistemi scolastici sono tipici “aggregati”, molto legati, per il bene e il non bene, al passato dei paesi. Per buona parte tengono in vita da secoli contenuti e forme che spesso sembrano prive di una specifica valenza attuale.

L’Ocse da quasi vent’anni fornisce una massa ingente di dati sui sistemi scolastici. Finora solo nelle pubblicazioni di sintesi, come l’annuale Education at a glance, aveva dato con molta discrezione valutazioni e suggerimenti particolari per singoli paesi. Ora ha rotto gli indugi. Il rapporto What makes a school a learning organisation? prospetta a “policy makers, school leaders and teachers” un ribaltamento generale e complessivo.

Scricchiola, soffre e gira a vuoto in gran parte del mondo la scuola come luogo di puro insegnamento, dove l’insegnante, come faceva tremila anni fa, ripete ciò che ha appreso in gioventù ad allievi che devono a loro volta dar prova di saperlo ripetere. Rispetto al passato ci sono ben altre e potenti fonti di insegnamento intorno all’insegnante. Il ritmo dei cambiamenti esterni è incalzante. Se luoghi chiamati scuole vogliono sopravvivere e funzionare bene, devono sapersi trasformare in luoghi di organizzazione degli apprendimenti. Bisognerà tornare qui a parlarne.

Questa rubrica è stata pubblicata il 22 luglio 2016 a pagina 88 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

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