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Come si deve valutare un’università

Nell’estate si succedono le diverse classifiche delle università. L’attenzione alle graduatorie (le statunitensi hanno perduto il primo posto, sul podio è salita Oxford eccetera) distrae dal valutare i criteri delle varie graduatorie. Li critica tutti, dal punto di vista della solidità statistica e della bontà dei dati cui si applicano, Stéphane Gregoir, matematico e statistico di Tolosa, nel suo sito The Conversation. Si può sperare che si avvii una discussione più ampia sulla sensatezza dei diversi ranking. Sembra ragionevole continuare a pensare che un’università debba assolvere a tre grandi funzioni.

La prima riguarda le conoscenze scientificamente fondate: si tratta di acquisirle, valutarle criticamente, conservarle, rielaborarle e possibilmente produrne di nuove. Ognuno di questi aspetti meriterebbe un’attenzione specifica. La seconda funzione è formare nuove persone capaci di utilizzare il sapere acquisito sia per diventarne nuovi e innovativi cultori sia per concorrere attivamente alla vita sociale e produttiva di un paese. Formare futuri ricercatori e studiosi è importante, ma non lo è meno formare insegnanti, medici, giudici, ingegneri, farmacisti, geologi. Terza funzione: fornire consulenza al paese.

Superata la difficoltà di specificare i diversi criteri di valutazione, che peso assegnare a ciascuno? E non è insensato assegnare lo stesso peso a un certo criterio a Tirana e a Oxford, ad Arcavacata e a Boston, in differenti realtà con esigenze diverse?

Questa rubrica è stata pubblicata il 30 settembre 2016 a pagina 107 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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