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Il terrore degli iracheni non ha fine

Un soldato pattuglia il quartiere a maggioranza sciita di Sadr City, a Baghdad, dove è esplosa un’autobomba, l’11 maggio 2016. (Wissm al Okili, Reuters/Contrasto)

L’11 maggio è stato uno dei giorni più sanguinosi della storia recente dell’Iraq. Quattro attentati suicidi hanno provocato almeno ottanta vittime a Sadr City, uno dei quartieri più poveri di Baghdad. Quasi subito hanno cominciato a circolare immagini scioccanti delle vittime.

Gli iracheni hanno usato una vecchia foto che mostra una donna che scappa terrorizzata dal fuoco di un’esplosione per simboleggiare la mancanza di sicurezza per i cittadini poveri che vivono nella “zona rossa”, cioè al di fuori della zona verde dove hanno sede il governo e le ambasciate. La foto è stata pubblicata con una mappa dell’Iraq aggiunta sullo sfondo e la didascalia: “Gli iracheni non possono scappare da nessuna parte”. In un’altra versione la donna sembra entrare in parlamento per chiedere ai deputati: “Dov’è il mio bambino?”.

Dopo che il 30 aprile migliaia di manifestanti erano riusciti a entrare nella zona verde, il governo ha fatto costruire un’altra barriera di fronte all’ingresso principale per prevenire episodi simili. Tra i commenti alla foto della donna molti paragonavano la sicurezza di chi è al potere a quella dei comuni cittadini che vivono nell’inferno degli attentati. Il poeta Awad Nasser, originario anche lui di Sadr City, ha dedicato una poesia alla “signora tra le fiamme”: “Dove corri?/Il tuo bambino?/È proprio dietro di te/tra le mie mani insanguinate e il mio petto tremante”.

(Traduzione di Gabriele Crescente)

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