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In Iraq centinaia di donne sono in carcere per aver aiutato i jihadisti

Mosul, Iraq, marzo 2017. (Andres Martinez Casares, Reuters/Contrasto)

Molti combattenti del gruppo Stato islamico (Is) morti o fuggiti si sono lasciati alle spalle i familiari dopo la sconfitta subita in Iraq lo scorso dicembre. Lo stesso capo del califfato, Abu Bakr al Baghdadi, ha lasciato la sorella, che è stata arrestata dalle forze armate irachene e che l’8 marzo è stata condannata a morte.

Secondo il portavoce della corte suprema irachena Abdul Sattar Bairkadar, la donna avrebbe aiutato l’organizzazione terroristica “offrendo supporto logistico e contribuendo a compiere azioni criminali”. Inoltre avrebbe svolto varie attività insieme al marito, anche lui condannato a morte, nei tre anni in cui il gruppo Stato islamico ha controllato Mosul.

Una delle loro funzioni era procurare soldi ai combattenti. La sorella di Al Baghdadi, di cui non è stato reso noto il nome, è una delle centinaia di donne che hanno prestato servizio all’interno dell’Is. Il numero più alto di donne straniere che sono state attive nel gruppo proviene dalle repubbliche dell’ex Unione Sovietica, ma altre sono arrivate dalla Turchia, dalla Francia e dalla Germania.

Molte sono detenute con i figli nelle carceri irachene. Dieci mogli straniere di combattenti dello Stato islamico sono state condannate all’ergastolo, mentre decine di donne e bambini russi sono stati riconsegnati a Mosca il mese scorso. La Croce rossa ha contribuito a rintracciare le loro famiglie.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

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