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Le promesse del governo iracheno non fermano le proteste

Le proteste a Bassora, Iraq, il 15 luglio 2018. (Ap/Ansa)

A più di due settimane dall’inizio delle proteste a Bassora, in Iraq la tensione continua a crescere e le manifestazioni contro la mancanza di servizi pubblici e di lavoro si sono estese in altre otto province nel centro e nel sud del paese.

A Bassora i manifestanti hanno attaccato i giacimenti petroliferi chiedendo posti di lavoro e le forze dell’ordine hanno risposto con il lancio di lacrimogeni. Nel mirino c’erano tre compagnie petrolifere straniere (la British Petroleum, la russa Lukoil e l’italiana Eni). I manifestanti hanno anche incendiato le sedi dei principali partiti e hanno tentato di attaccare l’ufficio provinciale.

Nella città santa sciita di Najaf le persone scese in strada hanno assalito l’aeroporto locale, controllato dai tre partiti maggiori, che negli anni ne hanno fatto una fonte di profitti che sfugge al controllo dello stato.

Fallimento riconosciuto
Hadi al Amiri, il leader delle milizie filoiraniane Badr, che alle elezioni del 12 maggio hanno ottenuto 52 seggi in parlamento, ha ammesso che le proteste di questi giorni sono un’altra prova, dopo l’altissima astensione registrata al voto, del fatto che “abbiamo fallito nella guida del paese negli ultimi quindici anni”.

La crisi sta facendo traballare la stabilità del governo ad interim. Il primo ministro Haider al Abadi ha tenuto un incontro urgente con gli sceicchi delle tribù e i leader delle milizie sciite hanno chiesto di incontrare alcuni portavoce dei manifestanti. Ma queste mosse arrivano troppo tardi: sono già almeno una decina i morti e cinquecento i manifestanti feriti dalla polizia. Anche 288 agenti delle forze dell’ordine sono rimasti feriti negli scontri.

Il rappresentante speciale delle Nazioni Unite in Iraq, Jan Kubis, si è detto molto preoccupato della violenza e degli atti vandalici che hanno accompagnato le proteste, che sono state per lo più pacifiche. Il governo ha promesso ripetutamente di soddisfare le rivendicazioni della piazza, ma i giovani manifestanti non si fidano e gli appelli a protestare continuano.

(Traduzione di Francesco De Lellis)

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