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In Iraq la politica è lontana dai giovani

Una laureata in ingegneria protesta contro la mancanza di posti di lavoro. Baghdad, Iraq, 17 settembre 2020. (Teba Sadiq, Reuters/Contrasto)

Gli iracheni sotto i trent’anni sono più del 68 per cento della popolazione, mentre la percentuale di minori di 15 anni ha raggiunto il 40 per cento, secondo i dati diffusi dal ministro iracheno della pianificazione Khaled Battal al Najm nel suo rapporto del 14 giugno. Ma la quota di giovani sulla scena politica irachena è inferiore al 2 per cento se si guarda all’età dei parlamentari e dei ministri.

Tra i politici e i giovani esiste una barriera di alienazione e incomprensione. I giovani iracheni, soprattutto quelli cresciuti nel terzo millennio, non hanno conosciuto la durezza dei 35 anni di governo di Saddam Hussein e del suo partito. Sono invece diventati grandi nel contesto delle guerre successive al 2003 e hanno conosciuto da vicino la corruzione dei partiti di governo, assumendo un atteggiamento negativo verso i partiti e gli esponenti del parlamento.

I giovani li credono totalmente corrotti e sono spaventati dal fatto che il loro paese abbia perduto in dieci anni 200 miliardi di dollari in progetti fasulli che dovevano essere destinati alla loro istruzione, al loro lavoro, alle loro case. La percentuale più alta di disoccupati è tra i giovani. È per questo che considerano i politici come qualcuno che gli sta rubando il futuro.

Senza progetti
I governanti ricambiano il sospetto e l’ostilità. Il generale Abdul Karim Khalaf, ex portavoce del governo, in un discorso su Clubhouse ha descritto i giovani manifestanti come intrinsecamente ribelli e atei, influenzati dall’occidente e finanziati da enti stranieri.

Il divario tra i due mondi si approfondisce rapidamente. Secondo il ministero della pianificazione non c’è alcun progetto chiaro su come comportarsi di fronte alla crescita della popolazione giovanile.

(Traduzione di Francesco De Lellis)

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