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Il fascino della Birmania è meglio scoprirlo adesso

I visitatori italiani in Birmania sono ancora un’esigua minoranza ma stanno crescendo, dice Win Min Htut: è un alto, cortese, sorridente signore birmano, elegante nel longyi (la diffusissima versione birmana del sarong) a minuscoli quadretti viola e marrone, in accordo perfetto con la camicia lilla impreziosita da un luminoso bottone d’oro sul colletto.

Win è laureato in storia alla Yangon university e specializzato in archeologia. Ovviamente parla inglese, ma ora preferisce l’italiano accurato e fiorito che ha imparato all’ambasciata. Spara a memoria una sorprendente raffica di dati sullo sviluppo del turismo nel suo paese.

La Birmania è rimasta chiusa al resto del mondo per circa sessant’anni, dice Win. Prima c’è stata la guerra civile, cominciata nel 1948. Poi, dall’inizio del 1962 al 1988 la giunta militare arrivata al governo del paese ha perseguito una politica di “porte chiuse”: negli anni settanta i viaggi erano controllati dallo stato e in Birmania arrivavano al massimo 1.500 persone all’anno.

All’inizio degli anni novanta i militari ci hanno ripensato: nel 1994 sono apparsi i primi tour operator privati, nel 1996 sono arrivati i primi gruppi organizzati. Ma un’efficace e diffusa campagna internazionale di boicottaggio, conseguente alle gravi violazioni dei diritti civili compiute dalla giunta militare, ha contrastato le ambizioni del regime e ridotto la nascente industria turistica a poca cosa.

Un monastero su palafitte, altopiano Shan, gennaio 2016.

Nel settembre del 2007 migliaia di monaci buddisti hanno marciato contro i militari: la rivolta era pacifica ma è stata soffocata con violenza. Nel 2008 il ciclone Nargis ha causato più di centomila vittime, e il tracollo in apparenza definitivo del turismo.

Imprenditori e turisti

Tutto cambia a partire dal 19 agosto del 2011, quando un primo incontro riservato tra Aung San Suu Kyi e il nuovo presidente U Thein Sein apre una nuova stagione di riforme. Nel giro di pochi mesi si allenta la censura, molti esiliati rientrano nel paese, le riunioni sindacali sono legalizzate. Hillary Clinton arriva in visita, seguita da schiere di imprenditori desiderosi di fare affari.

Lavorazione della seta, regione di Shan, gennaio 2016.

L’Unione europea annuncia la fine di tutte le sanzioni, escluse quelle riguardanti gli armamenti. La Condé Nast dichiara che il paese è “una destinazione da tener d’occhio” nel 2012. E, in effetti, in quell’anno il turismo in Birmania subisce un’impennata.

Appena un paio d’anni dopo, nel 2014, i turisti sono più di un milione e centomila secondo l’ufficio nazionale del turismo. Sono in maggioranza asiatici (tailandesi, cinesi e giapponesi). Tra gli europei, gli italiani sono quarti nel 2014 con 12.613 presenze: solo l’1,1 per cento del totale.

Eppure in giro si comincia a sentir parlare un po’ d’italiano. “Compra borso costa poco poco”, dicono le piccole venditrici al gruppetto di connazionali intento a togliersi per l’ennesima volta calze e scarpe all’ingresso di una pagoda, riconoscendoli con l’infallibile colpo d’occhio che accomuna i venditori di strada di tutto il mondo. “Compra libro”, dicono, offrendo l’edizione italiana taroccata, negoziabile a cinquemila kyat (meno di quattro dollari) di Giorni in Birmania di Orwell.

Giovani monache alla pagoda Mahamuni, gennaio 2016.

La Birmania è un paese incantevole: un cocktail esotico e diverso da ogni altro di storia, cultura, natura, misticismo. Merita di essere conosciuto e credo che convenga andarci in fretta, prima che la pressione dei visitatori aumenti ancora togliendo fatalmente un po’ di fascino e di mistero all’esperienza.

Già ora, nella magnifica piana di Bagan, patrimonio dell’Umanità per l’Unesco, che ospita più di tredicimila templi costruiti tra il 900 e il 1200, grappoli di turisti assatanati sgomitano per fotografare il tramonto dopo essersi inerpicati su per i ripidissimi gradini della pagoda Shwesandaw, la più alta dell’area.

Turisti in attesa del tramonto, piana di Bagan, gennaio 2016.

Sulla terrazza superiore si sta stretti peggio che in metropolitana nell’ora di punta. E fortuna che tutti sono, per obbligo, a piedi nudi, e quindi stanno particolarmente attenti a non calpestarsi a vicenda. Ma il tramonto, ovviamente e per fortuna, resta indimenticabile.

Il tramonto visto dalla pagoda Shwesandaw, gennaio 2016.

Il clima della Birmania è tropicale: la stagione delle piogge va, di norma, da maggio a ottobre, ed è preceduta da una stagione calda e premonsonica che dura da febbraio a maggio. Conviene andarci tra novembre e febbraio. Sono appena tornata da lì e vi racconterò alcune delle cose che ho visto.

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