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Le ong soccorrono 367 migranti e chiedono un porto sicuro

Durante i soccorsi di un’imbarcazione con 90 persone a bordo 82 miglia a nordest di Misurata, in Libia, il 21 novembre 2019. (Annalisa Camilli)

Annalisa Camilli è a bordo della Ocean Viking per seguire la missione di soccorso di Sos Meditérranée e Medici senza frontiere.

Almeno seicento persone sono scappate via mare dalla Libia nelle ultime 48 ore, secondo quanto riportato dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) e dall’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), grazie all’apertura di una finestra di bel tempo e a causa del deterioramento del conflitto nel paese nordafricano. Negli ultimi tre giorni la nave umanitaria Ocean Viking ha ricevuto diverse richieste di soccorso diramate dall’ong di volontari Alarm Phone. La stessa organizzazione il 20 novembre aveva dato la notizia di un naufragio avvenuto al largo di Tripoli: la fonte della notizia sarebbe un pescatore libico che ha soccorso una trentina di persone e ha detto che i morti sarebbero più di sessanta.

L’ultima chiamata di soccorso per Ocean Viking, che aveva già effettuato due soccorsi in due giorni, è arrivata il pomeriggio del 20 novembre: parlava di un’imbarcazione con una novantina di persone a bordo, in difficoltà nella zona a est di Tripoli. Ci sono volute ventiquattr’ore di ricerca per individuare l’imbarcazione, che si trovava 82 miglia a nordest di Misurata. Il numero delle persone stimate era corretto, tra loro c’erano anche tre bambini molto piccoli e un uomo con una ferita di arma da fuoco. “La barca era sovraffollata, aveva cominciato a imbarcare acqua, siamo stati fortunati a trovarla dopo ventiquattr’ore di ricerche ininterrotte”, afferma Nicholas Romaniuk, capomissione di Sos Méditerranée a bordo della nave Ocean Viking. Il gommone era partito due giorni prima da Al Khoms, una città a est di Tripoli.

Attualmente a bordo della nave di Msf e Sos Méditerranée, che batte bandiera norvegese, ci sono 215 persone, tra cui 28 donne e 66 minorenni soccorsi in tre diverse operazioni. Intanto, all’alba, la nave spagnola Open Arms ha soccorso 73 persone, 50 miglia a nord di Zawyia. Mentre la nave dell’ong spagnola Aita Mari ha soccorso 79 persone nella zona di ricerca e soccorso maltese, 80 miglia a nord di Al Khoms. Le ong hanno operato quindi cinque soccorsi, senza alcun coordinamento e con comunicazioni intermittenti e inadeguate da parte delle autorità libiche che invece sarebbero responsabili delle operazioni. Due imbarcazioni partite dalla Libia, invece, sono arrivate autonomamente a Lampedusa.

La cosiddetta guardia costiera libica inoltre ha intercettato e riportato indietro in Libia più di duecento persone negli ultimi giorni, secondo l’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) che ha espresso preoccupazione per il conflitto in Libia e ha invitato Unione europea e Unione africana a cambiare atteggiamento sulla situazione. Secondo Unhcr, negli ultimi due giorni sono partite almeno dieci imbarcazioni in condizioni precarie dalle coste libiche, senza che ci siano mezzi di soccorso governativi lungo la rotta e in una situazione in cui in teoria dovrebbero essere i libici a coordinare i soccorsi. Gli stessi guardacoste libici, contattati dal ponte di comando della Ocean Viking, hanno riferito di continui black out e bombardamenti a Tripoli.

La Ocean Viking ha chiesto un porto di sbarco e gli è stato comunicato di attraccare a Tripoli, che non è un luogo di sbarco sicuro

“La situazione è eccezionalmente confusa nel Mediterraneo, abbiamo cercato costantemente di contattare la guardia costiera libica nelle ultime trentasei ore e abbiamo avuto delle comunicazioni molto confuse, abbiamo parlato con loro due giorni fa di questi casi che ci erano stati segnalati da Alarm Phone. Ma ogni volta che nelle ultime ore ci siamo messi in contatto non abbiamo ricevuto risposta. Abbiamo provato a contattarli via email, via satellite. In tutti i modi, ma non riceviamo risposta”, spiega Romaniuk.

La Ocean Viking ha chiesto un porto di sbarco e le è stato comunicato di attraccare a Tripoli, che non è considerata un luogo di sbarco sicuro. La nave umanitaria ha inoltrato quindi la richiesta di un porto di sbarco alle autorità maltesi e italiane. È stato richiesto anche il trasferimento medico di urgenza di una donna che è incinta di due gemelli, all’ottavo mese. “Abbiamo chiesto che sia trasferita subito in un ospedale in cui possa essere seguita con tutte le cure che necessita”, afferma Juan Pablo Sanchez, il medico di bordo di Medici senza frontiere. Per il momento le autorità non hanno risposto alla richiesta di trasferimento urgente.

La nave dell’ong Proactiva Open Arms si trova in una situazione simile a quella di Ocean Viking. “Anche noi abbiamo ricevuto molte segnalazioni da Alarm Phone, abbiamo allertato le autorità libiche, quelle maltesi, italiane e spagnole. I libici ci hanno detto che non sapevano nulla”, racconta Riccardo Gatti, capomissione a bordo della Open Arms. “Abbiamo trovato l’imbarcazione a 50 miglia da Zawyia che aveva imbarcato acqua, a bordo c’era un ragazzo ferito da un colpo di pistola a un piede. Adesso stiamo portando a termine il triage medico, abbiamo delle persone con delle ustioni da gasolio”, continua. Gatti conferma di aver chiesto un porto di sbarco alle autorità libiche, ma di aver ricevuto la richiesta di attraccare a Tripoli, indicazione che l’organizzazione definisce contraria alla legge. Al momento Open Arms ha chiesto all’Italia che le sia assegnato un porto di sbarco. Intanto sulla Ocean Viking non c’era posto sotto coperta per tutte le persone soccorse, così molti dormiranno all’addiaccio sul ponte posteriore della nave.

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