20 novembre 2019 17:33

Annalisa Camilli è a bordo della Ocean Viking per seguire la missione di soccorso di Sos Meditérranée e Medici senza frontiere nel Mediterraneo centrale.

Ismahil è seduto sui bancali sul ponte posteriore della nave per guardare il mare, ha con sé la colazione che è stata appena distribuita: tè caldo, biscotti e barrette energetiche. Il gommone su cui viaggiava è stato soccorso il 19 novembre dalla nave Ocean Viking di Sos Meditérranée e Medici senza frontiere (Msf). “Non riesco a smettere di pensare che poteva succedere una tragedia: ho molti pensieri stamattina, non riesco a smettere di guardare il mare”, mi dice il ragazzo della Costa d’Avorio. “Sono stato venduto e comprato molte volte in Libia, lì ti comprano e ti impongono di lavorare per loro”. Ripete quella frase che ho sentito decine di volte: “La Libia è un inferno”. Racconta di aver provato ad attraversare il mare, di essere stato intercettato dalla guardia costiera libica e portato nel centro di detenzione di Tajoura, vicino a Tripoli, e che per uscire dal carcere ha dovuto pagare molti soldi.

“Non li avevo, me li sono fatti prestare”. Ha scelto di imbarcarsi con la consapevolezza che avrebbe potuto morire: “Ero quasi sicuro che non ce l’avrei fatta”. Mentre chiacchieriamo Marghisa, una ragazzina di otto anni che viaggia da sola con uno zio, gli si avvicina e gli comincia a parlare in bambarà. “Questa è una lingua che parliamo e capiamo in tutta l’Africa occidentale, ci sentiamo a casa quando la usiamo”.

“Subito dopo essere saliti a bordo, alcune delle persone soccorse hanno cominciato a raccontarmi quello che hanno vissuto in Libia. Un uomo mi ha mostrato una ferita recente sulla testa e mi ha raccontato che gli era stata fatta il giorno prima, quando era stato colpito da un kalashnikov, un altro mi ha fatto vedere le cicatrici che ha sulla schiena, sono i tagli che gli sono stati fatti mentre era rinchiuso in un centro di detenzione a Beni Walid. È stato torturato con dei coltelli e con dei cavi elettrici, mentre i trafficanti chiamavano la sua famiglia per chiedere un riscatto”, racconta l’esperto di questioni umanitarie di Msf Trygve Thorson.

Siamo ancora sul ponte posteriore della nave quando scatta una nuova allerta: dal ponte di comando i soccorritori hanno avvistato un’imbarcazione in difficoltà. Sembrava in un primo tempo un altro gommone, invece è un barchino di vetroresina molto piccolo sovraffollato di persone. A vederlo con il binocolo è stato Geremie Demange, uno dei soccorritori di Sos Meditérranée: “È complicato trovare un’imbarcazione così piccola in mezzo al mare, ma io provo sempre a rilassarmi e a guardare l’orizzonte. Quando l’occhio si abitua e si rilassa, il cervello riesce a riconoscere anche dei piccoli movimenti e delle variazioni di luce”, afferma Demange.

Il codice di condotta libico
Sulla nave umanitaria i turni di avvistamento non si fermano mai: ogni ora due persone si avvicendano sul ponte di comando e con il binocolo cercano delle tracce di un movimento. Il resto dell’equipaggio si dà il cambio sul ponte posteriore, per assistere le persone soccorse. La prima segnalazione di sos c’è stata all’alba: Alarm Phone, la ong di volontari che in questo momento monitora la situazione nel Mediterraneo centrale ha chiamato la nave Ocean Viking, avvertendo della presenza di un’imbarcazione in difficoltà con 95 persone a bordo, a est di Tripoli.

Sono state informate anche le autorità libiche, che in un primo momento non hanno risposto alle chiamate. In mattinata Tripoli ha contattato Ocean Viking dicendo che la motovedetta Fezzan della guardia costiera libica si stava dirigendo nell’area indicata e che si sarebbe occupata del soccorso. I libici hanno chiesto a Ocean Viking se erano tra le ong registrate ufficialmente, secondo quanto previsto dal nuovo codice di condotta per le ong approvato da Tripoli. “Non abbiamo ricevuto nessun codice di condotta”, ha risposto Nicholas Romaniuk, capomissione di Sos Meditérranée a bordo di Ocean Viking.

“Tutto quello che sappiamo di questo presunto codice di condotta lo abbiamo appreso da mezzi di informazione italiani, abbiamo risposto in questo modo alle richieste di Tripoli”, mi spiega Romaniuk qualche ora dopo. Lo stesso mi conferma Michael Fark di Medici senza frontiere. “Stiamo rispettando le leggi marittime internazionali, non sappiamo nulla di questo codice di condotta. Operiamo in acque internazionali in linea con quanto previsto dalle leggi”, afferma Fark. A metà mattina, prima dell’avvistamento della barca di vetroresina, Tripoli ha comunicato alla Ocean Viking di aver intercettato due imbarcazioni in difficoltà nella zona a est di Tripoli, e l’aereo umanitario di Pilotes Volontaires in volo sulla zona ha confermato la presenza di due imbarcazioni vuote, probabilmente le stesse intercettate dai libici.

Intorno alle 11, infine, la Ocean Viking avvista la piccola imbarcazione: sembra un enorme pedalò carico di persone. Sono lanciati di nuovo in acqua i due gommoni di salvataggio, che a tutta velocità raggiungono l’imbarcazione a trenta miglia dalle coste libiche. Il soccorso è più complicato di quello portato a termine il giorno precedente: l’imbarcazione emana un forte odore di gasolio e ha già imbarcato dell’acqua, la sua stabilità è precaria.

I due gommoni si appostano affianco della barca, uno da un lato e uno dall’altro. Si chiama manovra “sandwich” e serve ad assicurarsi che l’imbarcazione non si ribalti quando le persone cominceranno a essere trasferite. Sono soccorse trenta persone, la maggior parte di loro sono eritrei e sudanesi. Arrivano sulla Ocean Viking stremati, con nausea e forte mal di mare. “In un’imbarcazione così piccola anche delle onde poco alte si fanno sentire”, spiega Romaniuk. Una volta terminata l’operazione viene inabissato il motore e segnata la barca, lasciata andare alla deriva. “Abbiamo pagato mille dollari per imbarcarci, ci hanno detto che questo tipo di barca sarebbe stata più veloce”, racconta un ragazzo eritreo, una volta arrivato a bordo della Ocean Viking. L’imbarcazione di vetroresina era carica di taniche di benzina, di acqua e di camere d’aria probabilmente pensate come potenziali salvagenti.

Prima delle 15 il comandante della Ocean Viking chiede un porto di sbarco, a bordo ci sono 125 persone, tra cui 16 donne e 37 minori non accompagnati. Continuano tuttavia ad arrivare richieste di soccorso e Ocean Viking è l’unica nave di soccorso presente nella zona. Open Arms e Aita Mari infatti non possono scendere nella zona di ricerca e soccorso coordinata dai libici per volere del governo spagnolo. Quando Ocean Viking lascerà l’area, non ci saranno più navi di soccorso nella zona in cui di solito avvengono i naufragi, a venticique-trenta miglia dalle coste libiche.

Aggiornamento: alle 22.30 del 20 novembre Alarm Phone ha diffuso la notizia di un naufragio che sarebbe avvenuto a est di Tripoli, lo ha denunciato un pescatore che avrebbe soccorso una trentina di superstiti. Il 21 novembre all’alba la nave umanitaria spagnola Open Arms ha soccorso un’imbarcazione con 74 persone 50 miglia a nord di Zawyia.

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