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Il sorriso di Ivanka Trump, il massacro dei palestinesi

Palestinesi durante le manifestazioni al confine tra Israele e la Striscia di Gaza, il 14 maggio 2018. (Ibraheem Abu Mustafa, Reuters/Contrasto)

Nella foto la figlia del presidente degli Stati Uniti, Ivanka Trump, indica la targa della nuova ambasciata a “Gerusalemme, Israele” indossando il suo tailleur crème e un sorriso impeccabile. Lo stesso giorno, a poche decine di chilometri, nella Striscia di Gaza, lontano dagli applausi e dai brindisi, almeno 58 palestinesi sono stati uccisi dall’esercito israeliano, colpiti da pallottole o morti, i più piccoli, per problemi respiratori dovuti ai gas lacrimogeni.

Quello che è successo il 14 maggio, il lunedì nero, è “un orribile massacro”, denuncia l’Autorità palestinese, “un’azione disgustosa”, afferma Amnesty international. La stampa internazionale copre invece gli eventi in modo più sfumato. Il titolo che fa più arrabbiare i social network palestinesi è quello del New York Times: “Decine di palestinesi sono morti nelle proteste mentre gli Stati Uniti inaugurano l’ambasciata a Gerusalemme”.

La prima pagina parla addirittura di decine di morti senza neanche specificare che sono palestinesi. Per il giornalista di Intercept Glenn Greenwald, il problema è questo particolare uso dei verbi da parte della stampa occidentale quando riporta eventi in Israele e Palestina: “Scrivono titoli che descrivono i massacri israeliani usando il passivo e nascondendo così i colpevoli. Da sempre il campione in questo è e rimane il New York Times. #sonomorti”.

Qualche ore dopo, vista l’indignazione generale, il New York Times cambia il titolo: “Gli israeliani uccidono decine di palestinesi”.

Due mondi paralleli
I giornali palestinesi fanno le loro prime pagine con la copertura internazionale del massacro di Gaza: il sito di Al Quds mette in evidenza la copertina del Guardian, che propone in parallelo immagini dell’inaugurazione – la foto di Ivanka Trump sorridente – e del massacro – con le immagini dei palestinesi che portano in braccio un adolescente morto.

Il giornale online Middle East Eye ricorda i nomi dei morti, aggiornati al 15 maggio, che riportiamo come avremmo fatto con qualunque persona disarmata uccisa in occidente:

  1. Laila Anwar Al Ghandoor, 8 mesi
  2. Ezzeldin Musa Mohamed Alsamaak, 14 anni
  3. Wisaal Fadl Ezzat Alsheikh Khalil, 15 anni
  4. Amed Adel Musa Alshaer, 16 anni
  5. Saeed Mohamed Abu Alkheir, 16 anni
  6. Ibrahim Ahmed Alzarqa, 18 anni
  7. Eman Ali Sadiq Alsheikh, 19 anni
  8. Zayid Mohamed Hasan Omar, 19 anni
  9. Motassem Fawzy Abu Louley, 20 anni
  10. Anas Hamdan Salim Qadeeh, 21 anni
  11. Mohamed Abd Alsalam Harz, 21 anni
  12. Yehia Ismail Rajab Aldaqoor, 22 anni
  13. Mustafa Mohamed Samir Mahmoud Almasry, 22 anni
  14. Ezz Eldeen Nahid Aloyutey, 23 anni
  15. Mahmoud Mustafa Ahmed Assaf, 23 anni
  16. Ahmed Fayez Harb Shahadah, 23 anni
  17. Ahmed Awad Allah, 24 anni
  18. Khalil Ismail Khalil Mansor, 25 anni
  19. Mohamed Ashraf Abu Sitta, 26 anni
  20. Bilal Ahmed Abu Diqah, 26 anni
  21. Ahmed Majed Qaasim Ata Allah, 27 anni
  22. Mahmoud Rabah Abu Maamar, 28 anni
  23. Musab Yousef Abu Leilah, 28 anni
  24. Ahmed Fawzy Altetr, 28 anni
  25. Mohamed Abdelrahman Meqdad, 28 anni
  26. Obaidah Salim Farhan, 30 anni
  27. Jihad Mufid Al Farra, 30 anni
  28. Fadi Hassan Abu Salah, 30 anni
  29. Motaz Bassam Kamil Al Nunu, 31 anni
  30. Mohammed Riyad Abdulrahman Alamudi, 31 anni
  31. Jihad Mohammed Othman Mousa, 31 anni
  32. Shahir Mahmoud Mohammed Almadhoon, 32 anni
  33. Mousa Jabr Abdulsalam Abu Hasnayn, 35 anni
  34. Mohammed Mahmoud Abdulmoti Abdal’al, 39 anni
  35. Ahmed Mohammed Ibrahim Hamdan, 27 anni
  36. Ismail Khalil Ramadhan Aldaahuk, 30 anni
  37. Ahmed Mahmoud Mohammed Alrantisi, 27 anni
  38. Alaa Alnoor Ahmed Alkhatib, 28 anni
  39. Mahmoud Yahya Abdawahab Hussain, 24 anni
  40. Ahmed Abdullah Aladini, 30 anni
  41. Saadi Said Fahmi Abu Salah, 16 anni
  42. Ahmed Zahir Hamid Alshawa, 24 anni
  43. Mohammed Hani Hosni Alnajjar, 33 anni
  44. Fadl Mohamed Ata Habshy, 34 anni
  45. Mokhtar Kaamil Salim Abu Khamash, 23 anni
  46. Mahmoud Wael Mahmoud Jundeyah, 21 anni
  47. Abdulrahman Sami Abu Mattar, 18 anni
  48. Ahmed Salim Alyaan Aljarf, 26 anni
  49. Mahmoud Sulayman Ibrahim Aql, 32 anni
  50. Mohamed Hasan Mustafa Alabadilah, 25 anni
  51. Kamil Jihad Kamil Mihna, 19 anni
  52. Mahmoud Saber Hamad Abu Taeemah, 23 anni
  53. Ali Mohamed Ahmed Khafajah, 21 anni
  54. Abdelsalam Yousef Abdelwahab, 39 anni
  55. Mohamed Samir Duwedar, 27 anni
  56. Talal Adel Ibrahim Mattar, 16 anni
  57. Omar Jomaa Abu Ful, 30 anni
  58. Nasser Ahmed Mahmoud Ghrab, 51 anni
  59. Bilal Badeer Hussein Al Ashram, 18 anni
  60. Ignoto
  61. Ignoto
  62. Ignoto

L’isolamento dei palestinesi non è mai stato così profondo in tutta la loro storia, scrive lo scrittore egiziano Amr Hamzawy su Al Quds. “Dopo il massacro israeliano non ci sono state condanne da parte dei ministri degli esteri dell’Unione europea o di funzionari giordani o egiziani per l’aggressione a civili disarmati. Gli eventi di questo lunedì 14 maggio 2018 illustrano la realtà odierna del Medio Oriente e i palestinesi devono essere consapevoli della loro solitudine davanti alla macchina di morte e agli abusi israeliani”.

Coscienti di essere abbandonati da tutti, i politici palestinesi provano ancora ad affidarsi alla giustizia internazionale. Al Araby al Jadid riprende le parole dell’ambasciatore palestinese all’Onu, Riyad Mansour, che chiede che “i responsabili siano portati davanti alla giustizia”: “Il massacro è avvenuto mentre gli Stati Uniti aprivano illegalmente e in modo unilaterale e provocatorio la loro ambasciata (…) È davvero tragico vedere la celebrazione di un’azione illegale mentre Israele uccide e ferisce migliaia di civili palestinesi”.

A Ramallah, riporta il giornale Al Ayyam, la leadership palestinese ha deciso di “firmare immediatamente una richiesta d’inchiesta alla Corte penale internazionale”. Ha anche aggiunto che per l’autorità, “le celebrazioni festeggiano la fine del principio di due stati caro al processo di pace che è stato oggi sostituito dalla soluzione di uno stato unico in cui vige il sistema dell’apartheid”.

E mentre il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu moltiplica le dichiarazioni di amicizia a Trump, “il nostro migliore amico al mondo” , Al Jazeera mostra la divisione della città con un tour interattivo, ricordando che la decisione di Trump “va contro decenni di politica estera americana”. Di fatto, la diplomazia di Washington aveva sempre sostenuto lo status di Gerusalemme come parte della soluzione dei due stati (israeliano e palestinese), dato che i palestinesi hanno scelto Gerusalemme Est come la loro capitale. “Provocazione delle provocazioni”, ricorda il sito, “l’ambasciata americana si trova sulla linea dell’armistizio”.

Invece, conclude Al Quds, il destino di Gerusalemme è ormai nelle mani della destra cristiana americana. Solo il 20 per cento degli ebrei americani ha votato per Trump, e l’80 per cento non sostiene neanche la decisione dello spostamento dell’ambasciata: “La decisione viene in realtà dalla destra religiosa estremista, come il reverendo Robert Jefferson, che fa innervosire i politici americani stessi”. E per quanto riguarda invece i regimi arabi, ossessionati dall’influenza iraniana, “sono troppo occupati a tranquillizzare Washington attraverso la compravendita di armi per cifre astronomiche per sollevare la questione di Gerusalemme”.

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