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Lorde contro il fantasma di Taylor Swift

Lorde. (Victoria Will, Invision/Ap/Ansa)

Lorde, Sober
Il nuovo disco di Lorde, Melodrama, si nutre delle piccole cose quotidiane che animavano il sorprendente debutto della cantante neozelandese, Pure heroine, pubblicato quando aveva solo sedici anni. Melodrama è il racconto di una notte, durante una festa organizzata da un gruppo di ragazzi. Ma è anche, come ha dichiarato la sua autrice, una raccolta di brani “sul dolore e la solitudine”. Lorde ha composto le canzoni dopo che si è lasciata con il suo ragazzo. La semplicità e la relativa innocenza dei temi trattati è bilanciata da arrangiamenti mai banali, anche se stavolta meno cupi ed elettronici. Al timone c’è il produttore Jack Antonoff, già al lavoro su 1989 di Taylor Swift. Il fantasma di Taylor ogni tanto viene fuori, come nella fin troppo ruffiana Homemade dynamite. Per fortuna la personalità di Lorde viene fuori e le permette di non venire soffocata dal nuovo vestito sonoro. Il singolo Green light suona stranamente nostalgico per una ragazza di vent’anni, ma funziona. Liability è una bella ballata al piano, senza orpelli. Il pezzo migliore però è Sober, una specie di Royals con i fiati. Qui il battito cardiaco è quello giusto, così come l’equilibrio tra pop e sperimentazione. Anche il pezzo di chiusura, Perfect places, è solido e ispirato. Un po’ di coraggio in più non avrebbe guastato, ma Lorde resta una delle cantanti pop più preziose che abbiamo.


Songhoy Blues, Bamako
I Songhoy Blues vengono dal Mali. Sono stati costretti a fuggire da Bamako dopo che i jihadisti hanno imposto la sharia, la legge islamica, e hanno vietato la musica nel nord del paese. Per la band africana le canzoni sono un modo per restare legati al loro paese e far sentire a casa tutti i rifugiati nel mondo. Scoperti da Nick Zinner degli Yeah Yeah Yeahs, i Songhoy Blues suonano un blues desertico che ha forti venature funk e soul. È musica più urbana rispetto a quella dei Tinariwen, un altro gruppo maliano molto apprezzato nel nostro mondo occidentale. Il nuovo album dei Songhoy Blues, Résistance, è anche meglio del precedente Music in exile. È più colorato e vario negli arrangiamenti. In un pezzo c’è anche un cameo di Iggy Pop, che presta la sua voce a Sahara. Musica per rifugiati, esiliati e anime ribelli.


Queens of the Stone Age, The way you used to do
Stavolta Josh Homme è partito con il piede sbagliato. Per il nuovo album dei Queens of the Stone Age, che uscirà il 25 agosto, il musicista statunitense si è affidato a Mark Ronson, chitarrista, dj e produttore britannico autore di ottimi album (su tutti Uptown special, dove c’era uno dei singoli pop più divertenti dell’ultimo decennio). Ronson è bravo a dare una patina funk e vintage ai brani degli artisti con cui lavora. Sulla carta questa poteva essere una collaborazione con i fiocchi ma, a giudicare dal singolo The way you used to do, Ronson non ha fatto scoccare la scintilla. Il suono dei Queens of the Stone Age è appiattito in una specie di pop rock monodimensionale. La melodia del pezzo non è niente di epocale e mancano tanto le chitarre che abbiamo ascoltato in passato. Speriamo che il resto del disco non sia così.


Arcade Fire, Creature comfort
Dopo l’epica Everything now, gli Arcade Fire hanno messo online un altro pezzo che farà parte del nuovo album in arrivo il 28 luglio. Al brano ha collaborato Geoff Barrow dei Portishead, in veste di produttore e tastierista. In Creature comfort, un po’ come in tutto il precedente disco Reflektor, in realtà è molto forte l’influenza di James Murphy degli Lcd Soundsystem, oltre che quella dei soliti Talking Heads. L’arrangiamento è buono, ma sinceramente preferisco quando gli Arcade Fire sono più accorati, vicini alle loro radici folk rock. Quando si lasciano andare senza essere troppo cerebrali.


Iosonouncane, Climbing up the walls
In occasione dei vent’anni di Ok computer la trasmissione di Radio 1 King Kong ha messo in piedi un progetto molto interessante chiamato Ko computer. Un gruppo di musicisti italiani ha reinterpretato le canzoni dello storico disco dei Radiohead. Il disco è disponibile gratis sul sito della Rai. Gli esperimenti più riusciti sono Airbag, resa africaneggiante da Motta e Appino, Paranoid android, affrontata con classe da Diodato, e Exit music, avvolta da Colapesce in un elegante arrangiamento elettronico. E poi c’è Iosonouncane, che dimostra ancora una volta di essere il più grande cantautore italiano in circolazione. Il musicista sardo fa sua Climbing up the walls, un pezzo per niente facile da gestire. Tiene intatto l’incedere funereo del brano, ma lo scarnifica, affrontandolo come se fosse un prolungamento del suo splendido album Die. Il pezzo si può ascoltare e scaricare a questo indirizzo.

Qui sotto, in aggiornamento, la playlist di giugno, con la Climbing up the walls originale al posto di Iosonouncane che non è disponibile.

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