02 giugno 2017 17:26

Arcade Fire, Everything now
C’è un’epica ritrovata, una ricerca del ritornello grandioso in Everything now, il nuovo singolo degli Arcade Fire. Il pezzo del gruppo canadese anticipa l’omonimo disco in uscita il 28 luglio (sarà il primo in seguito all’accordo firmato con la Columbia).

L’arrangiamento del brano – con quell’abbondanza di percussioni, gli archi da disco music, i cori alla Abba e il riff di flauto – rimanda allo stile di Reflektor, l’album del 2013 prodotto da James Murphy degli Lcd Soundsystem. Ma quel finale così aperto fa pensare più alle atmosfere dell’esordio Funeral, a quell’ostentata malinconia che ha fatto le fortune della band nei suoi primi anni di carriera. A giudicare dal testo, è tornato anche quell’immaginario on the road così presente in Neon bible e The suburbs. Tra i produttori del brano c’è anche Thomas Bangalter, l’altra metà dei Daft Punk.

Everything now dà l’impressione di una band in controllo, che si è stabilizzata su una formula sonora precisa, in bilico tra l’indie e la musica da stadio. Se riusciranno a non perdere l’equilibrio, gli Arcade Fire ci regaleranno ancora tanti anni di buona musica.

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Radiohead, I promise
Quest’anno Ok computer, lo storico album dei Radiohead, compie vent’anni. Un po’ a sorpresa la band, di solito molto poco celebrativa nei confronti della propria musica, ha deciso di festeggiare la ricorrenza con una ristampa intitolata Oknotok, che include tre inediti e otto b-side.

Come primo estratto Thom Yorke e compagni hanno scelto I promise, forse il meno riuscito dei brani scartati all’epoca da Ok computer. Tra questi c’è per esempio anche Lift, un pezzo clamoroso, accantonato dal gruppo perché rischiava di fargli “vendere troppi dischi”.

Sentire I promise adesso, 21 anni dopo che è stata registrata, fa uno strano effetto. La voce di Thom Yorke non era quella di oggi, il gruppo suonava ancora come una band rock e tutto era avvolto in una malinconia post adolescenziale. Chi era ragazzino in quegli anni, improvvisamente, si sente un po’ vecchio.

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The War On Drugs, Holding on
Gli War On Drugs sono sempre più springsteeniani. Il loro nuovo brano, con quel sintetizzatore in primo piano, sembra uscito da Born in the U.S.A. La chitarra di Adam Granduciel, il leader della band, all’inizio è nascosta, ma viene fuori piano piano, mentre la sua voce, come sempre, deve qualcosa a Bob Dylan.

Per questo pezzo vale il discorso già fatto molte volte sugli War On Drugs: se cercate sorprese e novità non passate da queste parti. Ma la sorpresa in realtà c’è: ogni volta Granduciel parte da riferimenti estremamente scontati e riesce a scrivere canzoni coinvolgenti. Dopo il bellissimo Lost in the dream, non si può non essere impazienti per il nuovo disco A deeper understanding, in arrivo alla fine di agosto.

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Elton John e Jack White, Two fingers of whiskey
Dal 16 maggio negli Stati Uniti va in onda American epic, un documentario a puntate dedicato alla nascita della musica moderna negli Stati Uniti. Il film, diretto da Bernard MacMahon, è stato prodotto da Jack White, T Bone Burnett e Robert Redford e racconta come il folk, il blues e il country hanno influenzato la discografia e i metodi di registrazione contemporanei a partire dagli anni venti.

Una parte del documentario è stata filmata in studio, insieme a un gruppo di musicisti che si sono riuniti per l’occasione: Nas, Willie Nelson, Elton John, Beck, Steve Martin e altri. E sono usciti momenti meravigliosi come questo, dove Elton John e Jack White improvvisano insieme un pezzo blues.

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Populous, Azulejos
Il 9 giugno il musicista pugliese Populous pubblicherà nuovo album, intitolato Azulejos, per La Tempesta Dischi. Composto a Lisbona, il disco mescola i ritmi della cumbia sudamericana con l’elettronica europea. Dopo l’ottimo Night safari, da Populous è lecito aspettarsi un altro disco di alto livello. L’ipnotica Azulejos va nella direzione giusta.

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