A mezzanotte dal Colle di Gilba si vede la via Lattea. È buio, ma la sagoma del Monviso si staglia sulle altre. Piemonte nordoccidentale, tra la valle Varaita e la valle Po, provincia di Cuneo. È una notte calda di fine luglio, ma al colle di Gilba il caldo non si sente. È umido, l’erba pizzica le caviglie oltre le calze, in lontananza i campanacci di un gregge e tutto il resto in silenzio. Una piccola luce d’improvviso illumina il versante, si avvicina e scompare, poi ritorna, scandita dal ritmo di piedi che corrono.

A tre ore dalla partenza da Saluzzo, in pianura, Fabio Di Giacomo è in testa alla centomiglia del Monviso. Ha percorso trenta chilometri su 167, duemila metri di dislivello su ottomila. Dovrà correre ancora 21 ore, 44 minuti e 51 secondi prima di tagliare il traguardo, immerso in uno dei paesaggi più suggestivi e meno antropizzati dell’arco alpino.

La centomiglia nasce in una cittadina di provincia che guarda al Monviso come a un gigante buono. Terra di campi coltivati e piccoli imprenditori da generazioni, a Saluzzo il legame tra città e montagna è uno scambio reciproco fatto di servizi e turismo. Qui il desiderio di socialità non è stato scalfito né dalla pandemia né dal senso di incertezza delle crisi che ne sono seguite.

L’idea è quella di valorizzare non la singola città, bensì il territorio attraverso un grande evento sportivo: un unico, lungo itinerario da percorrere attraversando strade di pianura e sentieri di montagna, rifugi in quota e centri urbani che costituiscono una comunità di diciotto comuni, trenta associazioni e 250 volontari.

“Il punto di partenza è la storia”, spiega Mauro Calderoni, sindaco di Saluzzo. “Questi territori sono uniti dal punto di vista sociale e culturale da quasi un millennio di storia. L’area compresa tra Stura di Demonte, il Po e le Alpi costituiva sin dall’alto Medioevo il marchesato di Saluzzo, uno stato ‘cuscinetto’ tra Francia e il ducato di Savoia. Lavoriamo a un progetto turistico integrato da oltre un decennio. Così abbiamo pensato che un’ultratrail (gare di corsa che vanno oltre i 42 chilometri della maratona) potesse costituire una grande opportunità di valorizzazione del territorio”.

Carlo Degiovanni è un atleta da sempre, organizzatore eclettico, speaker e perfino musicista: c’era anche lui quattro anni fa a immaginare la centomiglia in un’edizione zero che ha acceso la miccia. “Le premesse di questa impresa sportiva risalgono alla fine degli anni ottanta, quando il Club alpino italiano (Cai) di Saluzzo con l’Atletica Sanfront e la Podistica valle Varaita allestirono il giro del Monviso”, racconta.

“Il tracciato era di circa 42 chilometri per 2.500 metri di dislivello. Fu una delle prime gare che, per caratteristiche tecniche, sono definite skymarathon”. Il progetto è abbandonato e ripreso nel 2013 sotto forma di tour Monviso trail e infine nel 2018 il piano, ambizioso, di una manifestazione internazionale. L’organizzazione è affidata alla Fondazione Amleto Bertoni e la consulenza tecnica a Carlo Degiovanni insieme alle associazioni podistiche e alle società di atletica che gravitano sul percorso. Oltre al comune di Saluzzo e al parco del Monviso, i promotori sono le Unioni montane e i Bacini imbriferi delle due valli coinvolte.

La salamandra protetta

Saluzzo, piazza Cavour. Il sole del 21 luglio picchia forte sull’asfalto. Sponsor e organizzatori stanno allestendo il quartier generale della centomiglia, campo base dell’ultratrail. Accanto alla postazione del soccorso radio, sta prendendo forma la regia di gara che resterà attiva ininterrottamente per 42 ore: qualche tavolo, una stampante, due portatili. Alberto Dellacroce, direttore della Fondazione Amleto Bertoni, e Luigi Vallome che lo affianca alla direzione di gara, sistemano accanto ai computer un piccolo peluche: è una salamandra.

La scelta della mascotte non è un caso. Il percorso che compiranno gli atleti è inserito in parte all’interno del parco del Monviso, che gestisce, insieme al parco naturale regionale del Queyras, la riserva della biosfera transfrontaliera del Monviso riconosciuta come patrimonio dall’Unesco. Qui vive un anfibio protetto e considerato vulnerabile, la salamandra di Lanza, una delle ultime specie di vertebrato scoperte in Europa. Il suo nome ricorda Benedetto Lanza, medico e naturalista fiorentino che dedicò la sua vita allo studio dell’erpetologia. Con i suoi 13 grammi per 9 centimetri di lunghezza, la salamandra è al centro dei pensieri di chi traccia il percorso dell’ultratrail.

Colle di Gilba, sulle Alpi Cozie, luglio 2023. (Daniele Boffelli, 100 miglia del Monviso)

“Il parco coincide in buona parte con una zona speciale di conservazione”, spiega Marco Rastelli, funzionario tecnico dell’ente di gestione delle aree protette del Monviso. Qualunque intervento o iniziativa all’interno dell’area deve essere sottoposto a una valutazione d’incidenza per verificare che non vi siano impatti negativi sull’ecosistema. Nel caso della centomiglia, l’impatto principale riguarda la salamandra di Lanza”.

A Pian del Re – a 2.020 metri di altitudine – se ne contano circa trecento esemplari: “Questo anfibio si è adattato alla vita in alta quota dove la brevità della bella stagione ha determinato alcuni adattamenti. Per esempio, le sue uova non si sviluppano in acqua ma nel corpo materno, dove impiegano anche tre anni per svilupparsi”.

Il periodo di massima attività va da maggio ad agosto, mentre per i restanti otto mesi dell’anno vive in nascondigli sotterranei per proteggersi dal freddo. Non potendo termoregolarsi, esce e si riproduce in condizioni climatiche favorevoli che in estate si presentano nei giorni di pioggia e nebbia oppure tra le otto di sera e le sei del mattino. Abbiamo quindi individuato insieme agli organizzatori della centomiglia i percorsi meno frequentati dalla salamandra e soprattutto gli orari di passaggio degli atleti che consentano di ridurre al minimo il rischio di calpestarla”.

È complicato tenere insieme la tutela ambientale, le esigenze sportive e quelle politiche. Dai tecnici del parco è arrivata la richiesta di porre attenzione al tracciato per ridurre l’impatto della gara sulla sinistra orografica della valle Po e sui laghi alpini per la forte incidenza della salamandra. “Quella che poteva sembrare una scelta obbligata, è diventata l’occasione per valorizzare il lavoro del Cai e recuperare un sentiero antico come il V9, storicamente attraversato dalle guide alpine e in grado di regalare agli atleti uno sguardo inedito sul Monviso”.

La partenza

Tenere in braccio la figlia fino all’ultimo. Mangiare lentamente un gelato chiacchierando con i compagni di avventura. Slegare e legare le scarpe ripetutamente per verificarne la tenuta. Una donna sussurra al figlio: “Ti aspettiamo, fai attenzione”. C’è tensione alla partenza della centomiglia del Monviso. Ottantasette atleti si mettono in viaggio sulle note di Zucchero.

Tra il vincitore Fabio Di Giacomo e l’ultimo classificato Fabio De Nisi (167 chilometri in 42 ore, 9 minuti e 8 secondi), c’è un mondo di storie e motivazioni, attitudini e desideri, senza alcuna differenza di genere. C’è chi affronta la centomiglia come allenamento per gare più importanti, chi la usa come obiettivo di stagione. “In centomiglia muori e risorgi un sacco di volte”, assicura Pierpaolo Giorgis.

A un’ora dalla partenza, Giorgis, residente in provincia di Cuneo, mostra il logo della centomiglia tatuato sull’avambraccio: “Non ci posso fare niente, questa corsa mi è entrata nel cuore. Correre all’alba ai piedi del Monviso è l’esperienza più bella al mondo”. Accanto, il figlio adolescente lo guarda fiero. Sarà lui, due giorni dopo, a ritirare insieme alla mamma lo zaino lasciato dal papà alla base vita: “Ha preso freddo la prima notte, si è dovuto ritirare”, nello sguardo la certezza che il prossimo anno sarà di nuovo a fare il tifo.

I loro antenati sono i protagonisti della marcia alpina: una disciplina di nicchia praticata negli anni settanta da fondisti e alpinisti

Noppadol Mekareeya, ricercatore all’Istituto nazionale di fisica nucleare a Milano, origini tailandesi, è qui con un unico scopo: vedere il Monviso. Raggiunge Crissolo in tarda mattinata, appena in tempo prima della chiusura del cancello. Corre, non senza fatica, fino al rifugio Quintino Sella, ai piedi del Re di Pietra. Soltanto a quel punto si ritira. Al rientro a Saluzzo, si presenta alla direzione di gara con gli occhi che brillano: “L’ho visto da vicino”.

Sono atleti fuori dagli schemi gli ultra runners. I loro antenati sono i protagonisti della marcia alpina: “Una disciplina di nicchia praticata negli anni settanta da fondisti e scialpinisti per fare allenamento estivo a secco. A loro si univano i valligiani, spesso margari”, ricorda Carlo Degiovanni. “In fondo, i sentieri montani erano degli impianti sportivi in natura senza costi di manutenzione. Non esisteva l’odierno, a volte ridondante, contorno commerciale: scarpe da ginnastica, calze di lana, pantaloncini, maglia di cotone e tanta forza nelle gambe”.

È rimasto lo spirito di sacrificio, la ricerca dell’ignoto tra i boschi e lungo le creste in solitudine, un gesto atletico ai confini con l’ascetismo. Simone Mazzer, pettorale numero trenta, originario di Treviso, ha scelto Saluzzo per la sua prima centomiglia del Monviso: “Non sono un veterano della corsa, ho iniziato tre anni fa. Pesavo 92 chili, non riuscivo ad alzarmi, ora ne peso settanta e sono felice. Correre, per me, a cinquant’anni, è una sfida. Arriverò ultimo, ma non importa: il mio sogno è riuscire il prossimo anno a partecipare all’Utmb del Monte Bianco, la Champions league degli ultratrail”. Non avrà corso lungo le strade dei cercatori d’oro come nella più antica Western States, ma arriverà al traguardo, non ultimo, in poco più di 39 ore.

I volontari che assistono gli atleti sono 250. Chi arriva al traguardo è forte anche del loro sostegno. A Pian Pilun, due strade impervie e quasi impercorribili in auto, un gruppo di giovani volontari non fa mancare una pacca sulla spalla a nessuno. A Chianale, uno dei borghi più belli d’Italia, 46 abitanti a 1.797 metri di quota, Giacomo Para suona l’inno occitano con la sua armonica a bocca a ogni atleta fermo al ristoro. A Sampeyre, una ragazza arriva al punto tappa nella seconda notte, non ce la fa più. Un volontario di mezza età non ha cuore di lasciarla ripartire da sola, si toglie la giacca e le corre accanto per un pezzo di strada.

Alle 4.30 di domenica mattina squilla il telefono: “La coppia di sposini sta arrivando al traguardo”. Si chiamano Nicoletta Gossa e Francesco Filippi: lui è appassionato di ultratrail, lei una distanza così lunga non l’ha mai percorsa, si sposano tra quindici giorni. Alla premiazione, lui la guarderà salire sul secondo posto del podio femminile con una maglietta disegnata dalle amiche: Nicoletta si sposa. Hanno condiviso le prime centomiglia insieme. Chi li ha visti arrivare, ha imparato qualcosa di più sull’amore.

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