Roma, 2012. (Andreas Solaro, Afp)

Negli ultimi trent’anni il giro d’affari legato al gioco d’azzardo è cresciuto in maniera tumultuosa in Italia, raggiungendo circa 110 miliardi di euro nel 2019. Oltre a essere cresciuto, il settore ha anche profondamente cambiato fisionomia.

Attraverso un processo di apertura regolata che ha abbattuto anche le barriere nazionali, sono comparsi giochi sempre più sofisticati e accattivanti. I giochi online hanno guadagnato terreno, passando dai due miliardi di euro giocati nel 2009 agli oltre 36 miliardi del 2019. Malgrado ciò, le slot machine (e le più attraenti videolottery, chiamate anche Vlt) installate nei bar o nelle sale scommesse raccolgono ancora la metà delle somme giocate. Un piatto molto ricco che attira gli appetiti criminali, compresi quelli di tipo mafioso. In effetti, nel settore del gambling le organizzazioni criminali si trovano da sempre a loro agio.

Tagliando con l’accetta, possiamo dire che in questa attività le mafie sono impegnate su cinque fronti diversi: riciclano denaro derivante da altri traffici; impongono beni e servizi (per esempio le slot machine) agli esercenti dei locali; estorcono denaro ai giocatori fortunati o lo prestano a usura a quelli sfortunati; truffano lo stato manomettendo gli apparecchi di gioco; investono in questo campo con società formalmente legali.

In che modo queste organizzazioni criminali sono riuscite a tenere il passo in un settore investito da cambiamenti così radicali e rapidi? Le indagini giudiziarie mostrano che hanno solitamente agito nei rami bassi della filiera, in particolar modo imponendo agli esercenti le loro macchinette “mangiasoldi”. Per le mafie, le slot machine sono un prodotto come un altro da usare per realizzare le estorsioni, mettendo a frutto le loro risorse e competenze distintive: l’uso specializzato della violenza e il controllo del territorio.

Al pari dei criminali comuni, le organizzazioni mafiose hanno poi truffato giocatori ed erario manomettendo i dispositivi di gioco o installando apparecchi clandestini. Col tempo, però, grazie alle contromisure messe in campo, è diventato sempre più difficile alterare il funzionamento dei dispositivi.

Per non essere espulsi dal redditizio settore, alcuni gruppi criminali, come quello finito al centro dell’indagine Black monkey, hanno allora provato a diversificare le proprie attività e a risalire la filiera, sia diventando produttori di dispositivi di gioco sia avventurandosi nel mercato dei giochi online, commercializzando in Italia accessi a siti illegali. Muoversi nei rami più alti, però, cambia le regole del gioco e la natura delle risorse necessarie per sedersi al tavolo. La violenza e il controllo del territorio non bastano più. Servono competenze informatiche, finanziarie e manageriali da acquisire sul mercato, retribuendole regolarmente.

In definitiva, “legalizzare la mafia”, come cantava tempo fa Francesco De Gregori, sembra esser stato uno degli esiti prodotti dalla “apertura regolata” del settore del gioco d’azzardo degli ultimi decenni. ◆

Vittorio Mete è professore associato di sociologia politica presso il dipartimento di scienze politiche e sociali dell’università degli studi di Firenze.

G. Corica, N. De Luigi, V. Mete, Mafie e gioco d’azzardo. Filiera imprenditoriale e dinamiche criminali, Quaderni di sociologia, 84 (2020)

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