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Gli scrittori cubani non raccontano più la rivoluzione

La fiera internazionale del libro all’Avana, il 13 febbraio 2016. (Joaquin Hernandez, Xinhua/Zuma Wire/Ansa)

C’è un sole caldo all’Avana. I pochi giorni d’inverno sembrano già un ricordo. La 25ª edizione della fiera del libro si è conclusa da poche settimane. Ospitata nel forte della Cabaña, da cui si gode un panorama splendido della capitale cubana, è stata visitata da quasi quattrocentomila persone in dieci giorni.

La fiera è una sorta di grande luna park e quest’anno ha suscitato non poche critiche, soprattutto tra gli scrittori che hanno lamentato l’invasione di stand che nulla avevano a che fare con la letteratura: gadget calcistici di tutti i tipi (Messi e Ronaldo i volti onnipresenti) e versioni latinoamericane di Hello Kitty.

Molti scrittori che avevano ricevuto la promessa di veder pubblicato il loro ultimo libro sono rimasti a bocca asciutta. La mancanza di carta e un complicato meccanismo per cui gli editori cubani pubblicano un certo numero di libri all’anno (finanziati dallo stato) hanno fatto sì che molti titoli slittassero al 2017.

Il padiglione dedicato a Cuba, sulla rampa che scende dal mitico cinema Yara al Malecón, è una sorta di appendice della fiera del libro. Chi non è riuscito ad accaparrarsi le poche copie disponibili alla Cabaña spera in una sorte migliore in questa enorme libreria che rimarrà aperta un paio di settimane.

È qui che incontriamo lo scrittore Ahmel Echevarría (classe 1974), che ha già pubblicato un libro di racconti e tre romanzi brevi. È un esponente della cosiddetta generazione zero e non ha trovato il suo nuovo libro disponibile alla fiera.

“È stato uno di noi, Orlando Luis Lazo, a cominciare a parlare di generazione anno zero (poi semplicemente generazione zero) per identificare quella che allora era una cerchia di amici che scrivevano”, ricorda Echevarría.

Gli scrittori della generazione zero erano adolescenti negli anni novanta, quando la quotidianità era mera sopravvivenza

Echevarría sottolinea che il gruppo era “piuttosto ristretto ma molto combattivo. Il nome serviva per identificarci e per marcare in qualche modo una rottura, una differenza con il passato”. Il passato era quello degli anni novanta, gli anni duri del cosiddetto periodo especial: il crollo dell’Unione Sovietica fu un disastro per l’economia cubana, che tanto dipendeva da quella del potente alleato. Gli autori della generazione zero hanno attraversato da adolescenti o poco più che ventenni gli anni novanta durante i quali leggevano i libri di una generazione letteraria chiamata “i nuovissimi”.

A nomi più conosciuti come Leonardo Padura Fuentes e Arturo Arango (entrambi nati nel 1955), se ne erano affiancati di più giovani, molti dei quali cominciarono a pubblicare anche fuori da Cuba. Come Pedro Juan Gutiérrez (1950) che nella sua Trilogia sporca dell’Avana sintetizza quella logica segnata dal “disincanto, l’assenza di speranza, la frustrazione”, come spiega Félix Julio Alfonso López, scrittore della generazione zero, nato nel 1972 e vicerettore del collegio di San Geronimo. Ci riceve nella sede restaurata di questa università di storia, in una via straripante di turisti. Il centro della città è un cantiere: le strade sventrate costringono i visitatori a pericolosi percorsi a ostacoli. L’Avana si fa bella per prepararsi alla già avviata “invasione americana”.

Alfonso López ricorda che “gli anni novanta sono stati durissimi a Cuba e la letteratura era diventata il riflesso di quella realtà. In quegli anni abbiamo assistito a una perdita di riferimenti, a una quotidianità segnata dalla mera sopravvivenza”.

A partire dal 2000 comincia un programmatico recupero dei valori culturali della rivoluzione cubana

Nel 1999 si verificò un fatto destinato a scatenare un dibattito non solo a Cuba e negli Stati Uniti. Sulle coste nordamericane fu rinvenuto un bambino aggrappato al corpo senza vita della madre: è stata la prima volta che la crisi dei balseros – i migranti cubani che tentano di raggiungere gli Stati Uniti con imbarcazioni di fortuna – trovava posto sui mezzi d’informazione internazionali. Il piccolo Elián (così si chiamava quel bambino) si trasformò in una specie di ostaggio degli Stati Uniti e il padre rimasto a Cuba dovette intraprendere un processo legale per riaverlo.

La vicenda diventò un affare di stato e fu usata per “rilanciare dal punto di vista ideologico i valori culturali della rivoluzione cubana, quei valori che negli anni novanta si erano invece deteriorati”, argomenta Alfonso López.

A partire dal 2000 questa politica di recupero dei valori della rivoluzione s’intensifica. Fidel Castro la chiama “battaglia delle idee”. “Si trattava di ripensare la logica con cui le nuove generazioni avrebbero difeso i migliori valori del popolo e della nazione cubana”, dice l’accademico. “La nuova politica culturale ebbe molte conseguenze pratiche: per esempio si decentrarono le università, si aprirono case editrici in ogni provincia, fu resa di massa l’istruzione superiore, si promossero nuovi concorsi e premi letterari, nacquero riviste culturali in tante città, un elemento del tutto inedito visto che Cuba è sempre stata avanocentrica”.

La generazione zero cominciò con una sorta di guerriglia letteraria:
riunioni tra scrittori, recensioni,
presentazioni di libri

Il fermento di quegli anni mise a disposizione degli scrittori una varietà di strumenti impensabile fino a quel momento. Molti di loro avevano già nel cassetto un’opera ma non avevano avuto la possibilità di pubblicarla.

La generazione zero cominciò con una sorta di guerriglia letteraria, ricorda Ahmel Echevarría: riunioni tra autori, pubblicazioni di testi critici sulle loro opere, recensioni, presentazioni di libri. Tutto si diffondeva attraverso una rete di riviste, ma anche su internet, che in quel periodo cominciava ad apparire sull’isola pur tra mille difficoltà e carenze. “Volevamo trovare uno spiraglio, uno spazio dove collocarci e da cui diffondere e affermare una molteplicità di interessi che erano il nostro marchio di fabbrica”, continua Echevarría.

Incontriamo Jorge Enrique Lage (1979) nella sede del centro di formazione letteraria Onelio Cardoso, sulla Quinta avenida, quella delle ambasciate, nel quartiere di Miramar. Il centro è diretto dal suo fondatore, lo scrittore Eduardo Heras León. Da qui sono passati molti esponenti della generazione zero.

Seduto nell’ufficio da cui coordina la rivista del centro, Cuentos, Lage è d’accordo con Echevarría nel sottolineare che la definizione generazione zero “sorse dall’esigenza di rendere visibile un panorama differente, il nostro. Non eravamo solo un gruppo di amici che scriveva. Volevamo che la critica parlasse del nostro lavoro identificandoci come una realtà ben definita”.

La generazione zero non racconta l’epica rivoluzionaria, ma storie minime di chi non è mai stato il soggetto centrale di una storia

La battaglia delle idee avviata alla fine degli anni novanta è rimasta imbrigliata nella burocrazia e nelle maglie di una rigida istituzionalizzazione. Tuttavia la generazione zero ha continuato a portare avanti il suo discorso di rottura con un passato letterario che non sente vicino – quello di José Lezama Lima (1910) o Alejo Carpentier (1904), tra gli altri – adottando come riferimenti anche canoni letterari stranieri.

Nelle loro opere si trovano influenze di Raymond Carver, Brett Easton Ellis, David Foster Wallace. Echevarría, Lage, Michel Encinosa Fu o Raúl Flores non raccontano l’epica rivoluzionaria, ma storie minime, sotterranee, storie di chi non è mai stato il soggetto centrale di una storia. Sono scrittori consapevoli di fare letteratura. Talpe che scavano per far emergere vicende che a volte non sono nemmeno ambientate in una Cuba reale, ma in mondi fantastici o fantascientifici. È il caso di Lage, ma anche di Yoss, pseudonimo di José Miguel Sánchez nato nel 1969.

A Lage non dà fastidio essere etichettato come autore di fantascienza, ma precisa che per lui “l’immaginazione e la fantasia sono un punto di partenza per far sentire a disagio il lettore. M’interessa inventare e sperimentare con la città, con le situazioni che voglio rendere verosimili”. L’Avana di Lage è una città fantasma. “M’interessa violentare lo spazio urbano. Per me l’Avana è qualcosa di traumatico, un luogo sospeso nel tempo, una città con molte carenze, sociali, umane e urbanistiche. Per questo non mi interessa parlarne con l’ammirazione del cittadino della capitale”.

Da gruppo soprattutto habanero la generazione zero si è diffusa in tutta l’isola, finendo con l’identificare un gruppo più ampio di autori e autrici che sono il cuore vibrante della nuova narrativa cubana.

Un viaggio in autobus di dieci ore ci porta a oriente, nella città di Guantanamo. I turisti sono meno, anche se è facile prevedere che le spiagge da cartolina che vanta questa provincia saranno invase presto. Il poeta Óscar Cruz è nato nel 1979 a Santiago de Cuba, ma ha scelto di spostarsi qui per raggiungere il narratore José Ramón Sánchez. Insieme hanno fondato e dirigono la rivista La noria su cui pubblicano recensioni, racconti, critiche di autori che condividono le inquietudini e le tensioni degli scrittori della capitale. Si tratta, per citarne alcuni, di Lesna Rodríguez (di Camagüey), Jamila Medina (di Holguín), Anisley Negrín (di Santa Clara) e Yuniel Riqueni (Granma).

Storie, idee, emozioni che rivelano la vivacità culturale dell’isola caraibica oggi al centro di molte e profonde trasformazioni.

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