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Gli acchiappanebbia portano l’acqua nel deserto di Atacama in Cile

Camilo del Rio vicino a una rete per bloccare l’acqua della nebbia a Iquique, nel deserto di Atacama, il 19 aprile 2016. (Martin Bernetti, Afp)

Catturare le goccioline della camanchaca, la foschia che si alza ogni mattina lungo la costa cilena, è l’obiettivo degli “acchiappanebbia”, ossia delle reti installate nel deserto di Atacama, il luogo più secco del mondo.

Si tratta di reti di polipropilene di pochi metri quadri appese tra due pali che, collocate sottovento, aspettano pazientemente la nebbia, le cui gocce d’acqua resteranno bloccate nelle maglie per poi scivolare lentamente in alcuni recipienti.

È una tecnica semplice ed efficace: un metro quadrato di rete può recuperare in una sola giornata fino a 14 litri d’acqua, spiega Camilo del Rio, ricercatore dell’istituto di geografia dell’Università cattolica di Santiago. La media si aggira sui sette litri d’acqua al giorno.

Nella città di Alto Patache (Cile settentrionale), l’ateneo ha creato un centro di ricerca su questa tecnologia che è stata brevettata in Cile e successivamente esportata in Perù, Guatemala, Repubblica Dominicana, Nepal, Namibia e nelle spagnole isole Canarie. Altri paesi utilizzano lo stesso principio, ma usando degli alberi al posto delle reti per raccogliere l’acqua della nebbia.

Un’idea antica

L’acqua recuperata ha lo stesso sapore dell’acqua piovana, ma non è completamente potabile poiché contiene minerali marini e può essere portatrice di batteri. Ma “la sua trasformazione in acqua potabile non è complicata e nemmeno troppo costosa, se si vuole utilizzarla per il consumo umano”, spiega Camilo del Rio. Invece “non ci sono problemi rispetto ad altri usi”, come l’irrigazione o l’igiene.

Ad Alto Patache, due acchiappanebbia coprono adeguatamente il fabbisogno idrico del centro di ricerca scientifica, composto da sei cupole bianche che ospitano delle stanze, una cucina e un bagno. Dopo essere stata raccolta, l’acqua scorre normalmente dal rubinetto. Il sito ospita anche una stazione meteorologica e diversi strumenti per la misurazione della nebbia. Utilizzare l’umidità della nebbia per ricavarne acqua è un’idea antica, già messa in pratica dagli indigeni che recuperavano l’acqua che colava lungo la scogliera.

Nebbia nel deserto dell’Atacama, il 19 aprile 2016.

Gli acchiappanebbia rappresentano una buona soluzione per la fornitura idrica dei piccoli comuni costieri del Cile settentrionale, che patiscono un’aridità estrema perché in questa regione non piove quasi mai.

Una quarantina di queste enormi reti è attualmente in funzione nel deserto di Atacama. Le loro dimensioni variano, ma in generale hanno un’altezza di quattro metri e una larghezza da otto a dieci metri.

La camanchaca (che nella lingua indigena aymara significa oscurità) è una foschia densa, portata dal Pacifico, che tocca il deserto cileno tutte le mattine all’alba, prima di diradarsi man mano che si leva il sole. Quando si dissolve completamente, i cieli di Atacama offrono un orizzonte limpidissimo. E, poiché è uno scenario ideale per l’osservazione degli astri, questo deserto ospita i principali telescopi del mondo.

Inconveniente imprevedibile

Il fenomeno della nebbia mattutina si spiega con la forte radiazione solare che l’oceano Pacifico riceve in questa zona perennemente battuta dal vento, cosa che provoca una forte evaporazione. Spostandosi verso il continente, questa massa d’aria si raffredda a contatto con la corrente di Humboldt e con le vette innevate della cordigliera delle Ande: è questo che crea la camanchaca.

“Questa foschia è una benedizione”, afferma Camilo del Rio. “Ci troviamo in un ambiente desertico, estremamente arido, ma abbiamo l’umidità proveniente dal mare”. L’unico inconveniente degli acchiappanebbia è l’imprevedibilità. Nel caso cileno, la raccolta d’acqua varia a seconda degli anni e delle stagioni; in autunno e in estate, per esempio, diminuisce. “Se vogliamo fare di questo sistema una risorsa idrica valida per il consumo umano, allora dobbiamo fare in modo che possa durare nel tempo”, spiega Camilo del Rio.

La chiave è perciò immagazzinare correttamente il prezioso liquido, sottolinea Pablo Osses, capo del progetto di ricerca dell’Università cattolica. Bisogna anche rendere la tecnologia più prevedibile, affinché gli abitanti sappiano quali quantità aspettarsi.

“La sfida, nello studio della nebbia, è di poterla trasportare e portare fino alle comunità”, sottolinea Nicolas Zanetta, coordinatore del centro di Alto Patache. “Vicino al centro ci sono paesini che non hanno acqua potabile e che devono essere costantemente approvvigionati da autocisterne, e ci sono problemi nella distribuzione”, racconta.

Alcuni esempi fanno ben sperare. Nella regione di Coquimbo, a circa 400 chilometri a nord di Santiago del Cile, il fabbisogno idrico di duemila abitanti è già coperto dagli acchiappanebbia. E queste gocce di foschia servono anche a fabbricare una birra artigianale locale.

(Traduzione di Cristina Biasini)

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