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La Romania al voto per scegliere tra nazionalismo ed Europa

Manifesti elettorali a Bucharest, il 9 dicembre 2016. (Daniel Mihailescu, Afp)

L’11 dicembre 18 milioni di romeni saranno chiamati alle urne per scegliere tra 6.500 candidati i 466 parlamentari che entreranno nella camera e nel senato per la prossima legislatura. Le elezioni politiche arrivano dopo un anno di governo tecnico, che ha lasciato un segno positivo nel paese e sull’elettorato, che era ormai disilluso per i numerosi casi di corruzione che avevano coinvolto i politici. I romeni hanno trovato nell’esecutivo guidato dall’ex commissario all’agricoltura dell’Unione europea, Dacian Cioloș, un esempio di come si può governare senza ricorrere alle mazzette.

Un voto importante che arriva in un momento in cui in diversi paesi un’ondata populista, nazionalista, contro i migranti e contro l’Unione europea ha avuto il sopravvento. Basta pensare alle presidenziali in Bulgaria e Moldova, dove hanno vinto i candidati filorussi.

In questo contesto internazionale, le elezioni romene saranno un banco di prova per misurare l’interesse dell’elettorato per le vicende politiche del paese (all’ultima tornata per le politiche votarono soltanto 7,7 milioni di romeni), valutare la spinta filoeuropea a quasi dieci anni dall’adesione di Bucarest all’Unione, e infine misurare il successo dei movimenti anti sistema, come l’Unione salvate la Romania (Usr).

Molte novità
Anche se i sondaggi danno in netto vantaggio i socialdemocratici (Psd), che otterrebbero il 43 per cento delle preferenze, i liberali (Pnl) che sostengono dall’esterno Cioloș potrebbero guadagnare terreno (attualmente raccolgono il 27 per cento delle preferenze). Le elezioni di quest’anno riservano anche molte novità: dalla riduzione del numero dei parlamentari (da 588 a 466), al voto per corrispondenza, dal tetto massimo per le spese per la campagna elettorale all’aumento dei seggi all’estero, fino alla videosorveglianza dei seggi per evitare brogli.

“Il Psd ha una base elettorale stabile, principalmente nelle campagne e nei piccoli centri. Nessun altro partito per il momento ha un messaggio destinato a queste persone”, le più colpite dalla povertà e dalla mancanza di lavoro, secondo il sociologo Barbu Mateescu. Subito dopo ci sono appunto i liberali, che si sono alleati con l’Usr (insieme potrebbero avere tra il 35 e il 40 per cento). Un dato che potrebbe garantirgli la possibilità di formare un governo, candidando a premier lo stesso Cioloș.

Zero corruzione
In tutto sono dieci i partiti che si presentano alle politiche e a questi si aggiungono i candidati indipendenti, ma soltanto sei partiti supererebbero la soglia del 5 per cento. Oltre a Psd, Pnl e Usr, anche, i liberaldemocratici dell’ex premier Calin Popescu Tariceanu (Alde) con il 5,2 per cento, il Pmp dell’ex presidente Traian Basescu (5 per cento) e l’Unione democratica dei magiari (Udmr) con il 5 per cento.

Per quanto riguarda invece la fiducia nei leader politici e nei possibili candidati a premier, sorprende proprio Cioloș, che dopo aver annunciato di voler continuare il lavoro cominciato quest’anno, ma senza affiliazioni politiche, ha guadagnato nei sondaggi il 46 per cento dei consensi. Il premier ha definito il suo anno al governo con lo slogan: “Zero corruzione, zero populismo e zero menzogne”.

Una posizione che gli è valsa la fiducia di molti potenziali elettori, soprattutto se messo a confronto con i continui scandali. L’ultimo, ad altissimo livello, vede le accuse alla numero uno dell’Autorità elettorale permanente, Ana Maria Patru, per abuso di potere e riciclaggio.

Nello stesso tempo gli altri leader perdono credibilità, tra cui lo stesso presidente Klaus Iohannis, che è stato accusato di immobilismo sia dai suoi alleati, i liberali, sia dai suoi oppositori. In calo di popolarità anche il leader socialdemocratico Liviu Dragnea e il numero uno dell’Alde Calin Popescu Tariceanu.

Su tutte le percentuali, però, resta preoccupante quella del 75 per cento di romeni disillusi che non hanno fiducia nella politica, dato che potrebbe influenzare l’esito elettorale. Alla vigilia del voto, il presidente Iohannis ha lanciato un appello alla partecipazione.

Inoltre nella campagna elettorale ha avuto un ruolo di rilievo anche un crescente nazionalismo che denuncia il fatto che a 26 anni dalla rivoluzione “niente è più nostro” e “la nostra economia è un disastro”, ha spiegato il politologo Radu Magdin.

Ma quali potrebbero essere le alleanze di governo dopo le elezioni?

Oltre a continuare la lotta alla corruzione e cercare di sostenere la crescita economica del paese, tra le più forti dell’Unione europea, che la Commissione stima sopra il 5 per cento per il 2016, tra le priorità del prossimo governo ci dovrà essere la stabilità: sia in vista del centesimo anniversario dell’unificazione della grande Romania (nel 2018), per l’annessione di Bessarabia, Bucovina e Transilvania, sia per una data chiave, il primo semestre di presidenza dell’Unione europea, nella prima metà del 2019. Infine, riuscire a completare il processo di integrazione europea della Romania, con l’ingresso in Schengen da una parte e l’adozione dell’euro dall’altra.

Ma quali potrebbero essere le alleanze di governo dopo le elezioni? La più realistica, leggendo i sondaggi, è un esecutivo guidato dal Psd. Il premier potrebbe essere l’attuale vicepremier Vasile Dancu o l’attuale ambasciatore romeno negli Stati Uniti, George Maior, anche perché il presidente Iohannis ha già dichiarato che non darà l’incarico a nessuno che abbia processi penali pendenti, come il leader socialdemocratico Liviu Dragnea.

I voti della diaspora
Una seconda possibilità è quella legata a una maggioranza del Pnl con Cioloș in primo piano. Un terzo scenario, più improbabile, è quello della grande coalizione Psd-Pnl con Dancu o Cioloș alla guida, ma le grandi coalizioni in Romania non hanno una storia di successo.

Secondo la costituzione romena, ha spiegato Marina Popescu, politologa che studia gli effetti dell’informazione sull’opinione e le preferenze di voto, dati che sono racchiusi e analizzati sulla piattaforma Testvote.eu creata da Median Research Centre e OpenPolitics.ro., il capo di stato avvia le consultazioni con tutti i partiti ma può “nominare chi vuole (per l’incarico di premier), anche se non ha la maggioranza o una coalizione che lo sostiene”.

Quindi “non è ancora chiaro cosa farà il presidente. Dipenderà dai risultati e se il suo stesso partito, il Pnl, e il nuovo Usr possano avvicinarsi alla maggioranza per il loro candidato, l’attuale premier del governo tecnico Cioloș. Un’ipotesi possibile con l’aiuto dei rappresentati delle minoranze, circa 18 deputati che sono eletti secondo regole specifiche che nel 99 per cento delle occasioni hanno sempre votato a favore del governo”.

Da tenere d’occhio anche i voti della diaspora romena, che sono stati decisivi nelle presidenziali del 2014. Quest’anno il ministero degli esteri ha organizzato 417 seggi all’estero, 123 in più del 2014: di questi 73 sono in Italia, il paese con più seggi. Le urne apriranno alle 7 (le 6 in Italia) e chiuderanno alle 21 (le 20 in Italia). Subito dopo saranno consentiti gli exit poll.

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