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La triste festa del Salvador a 25 anni dalla pace

Il presidente salvadoregno Salvador Sánchez Cerén nell’anniversario della firma dell’accordo di pace con i guerriglieri, a San Salvador, il 16 gennaio 2017. (Marvin Recinos, Afp)

El Salvador è rinato 25 anni fa. Il 16 gennaio 1992 il governo ha firmato un accordo di pace con la guerriglia di sinistra al castello di Chapultepec, a Città del Messico, mettendo fine a una guerra civile durata 12 anni e nella quale sono morte 75mila persone. L’accordo, seguito da una commissione per la verità, che ha reso note le atrocità di guerra, e da un’amnistia, è stato un modello di riconciliazione per altri paesi. Ed è alla base dell’ordinamento politico di El Salvador oggi.

Per quanto sia stato entusiasmante tale traguardo, i festeggiamenti di quest’anno per ricordarlo sono stati un fiasco. Il centro congressi di Zona Rosa, a San Salvador, non lontano dal luogo in cui i guerriglieri hanno invaso la capitale nel 1989 e dove hanno avuto avvio i primi negoziati di pace, era più vuoto di quanto succede normalmente per i grandi eventi.

Sulla passerella che conduceva al palco era stata organizzata una piccola mostra, con tanto di uniformi militari, armi dei guerriglieri e citazioni sulla pace di personaggi come Confucio e John Lennon. Ma la folla vestita di bianco sembrava più interessata alle pupusa (tortillas ripiene di fagioli e formaggio) gratuite che ai discorsi. L’evento è finito con un lancio di coriandoli, degli applausi poco convinti e un ritorno dei presenti alle code per il cibo.

Un insieme di delusioni e paura
L’umore era cupo perché i sei milioni di abitanti di El Salvador hanno poco da festeggiare. Il sentimento dominante in questi giorni è “la paura, non la pace”, spiega Alejandro Marroquín, un membro del gruppo di break dance invitato alla commemorazione. Fuggito quattro anni fa dalla violenza delle gang nell’area metropolitana di San Salvador, è convinto che “la guerra sia andata avanti. L’unica differenza è che adesso si svolge tra il governo e le gang”. El Salvador è il paese più violento del continente americano, con un tasso di ottanta omicidi ogni centomila persone, più di 15 volte quello degli Stati Uniti.

I partiti eredi delle parti in lotta nella guerra civile non hanno imparato ad amministrare lo stato

Non è l’unica delusione. Dopo un’accelerazione iniziale, la crescita economica è scesa a un pigro 2 per cento, meno di metà della media dell’America Centrale. La corruzione è diffusissima. Due dei presidenti in carica dopo l’accordo sono sotto processo. Un altro è morto lo scorso gennaio, prima di poter essere processato. Molti salvadoregni hanno perso le speranze nel loro paese. Più del 40 per cento di loro vuole lasciare il paese entro il prossimo anno, come rivela un nuovo sondaggio dell’Università Centroamericana. Si tratta del dato più elevato da quando l’università ha cominciato a fare le sue rilevazioni una decina d’anni fa.

Le inefficienze dei principali partiti politici, eredi delle parti in lotta durante la guerra civile, sono tra i principali motivi alla base di questa disillusione. Dopo gli accordi di pace, si sono alternati al potere l’Alleanza repubblicana nazionalista (Arena) di destra e il Fronte di liberazione nazionale Farabundo Martí (Fmln), di sinistra (l’attuale presidente, Salvador Sánchez Cerén, ex comandate della guerriglia, appartiene all’Fmln). Hanno rinunciato alla guerra ma non hanno ancora imparato come amministrare lo stato.

Uno stato patrimoniale
La rivalità tra i due schieramenti va oltre le normali rivalità di un sistema democratico. L’Fmln mira ancora all’instaurazione del socialismo, anche se per ora si è adattato all’economia di mercato. Il partito Arena propone un diverso obiettivo e profetizza che “El Salvador sarà la tomba dei rossi”. Questo scontro vanifica ogni visione a lungo termine per il paese, spiega Luis Mario Rodríguez di Fusades, un centro studi favorevole all’economia di mercato. In pratica, l’unica cosa su cui i partiti sono d’accordo è che la vera utilità di detenere il potere sta nel potersi spartire i posti di potere. Il risultato è quel che i salvadoregni chiamano uno “stato patrimoniale”, che si autogiustifica attraverso il clientelismo e reprime tutte le istituzione che si oppongono a esso.

Finalmente i dirigenti di El Salvador si sono resi conto della necessità di un nuovo accordo di pace. Sanchez Cerén ha sfruttato la cerimonia di commemorazione per presentare Benito Andión, l’inviato speciale delle Nazioni Unite per la “facilitazione del dialogo”. Non è chiaro come Andión, un diplomatico messicano, interpreterà il suo ruolo. Alcuni suggeriscono che il suo compito sarà quello di facilitare un accordo di pace tra il governo e le due principali gang, Barrio 18 e Mara Salvatrucha. Ma stando a una dichiarazione dell’Onu la nomina di Andión ha per obiettivo quello di “occuparsi delle principali sfide” che si trova a dover affrontare El Salvador, il che appare un compito molto vasto. Come nel 1992, “abbiamo bisogno di un dialogo all’altezza del momento storico che viviamo oggi”, ha dichiarato Sánchez Cerén.

Il governo sostiene che il pugno duro funziona: le forze di sicurezza hanno ucciso novecento membri delle gang negli ultimi due anni

Lo stallo ha portato El Salvador sull’orlo della catastrofe economica. Dopo anni di crescita lenta ed eccessi di spesa, in parte per sostenere un piano pensioni statale, il governo centrale ha quasi esaurito i fondi lo scorso anno. Nell’impossibilità di ottenere dei prestiti a lungo termine a causa dell’opposizione, che al congresso ha la maggioranza dei seggi, il governo ha smesso di effettuare i pagamenti mensili alle autorità locali. I lavoratori sanitari sono entrati in sciopero dopo che il governo ha fatto marcia indietro sugli accordi salariali. E lo stato ha sfiorato la bancarotta.

In novembre il disastro è stato evitato da un patto tra Arena e governo, che ha permesso a quest’ultimo di emettere 550 milioni di dollari di nuovo debito in cambio di un accordo su una “legge di responsabilità fiscale” che mette un tetto sui prestiti e le spese. Ma si tratta solo di una misura tampone. L’opposizione, che dubita che il governo manterrà le sue promesse fiscali, si è rifiutata di approvare il bilancio del 2017. Un’altra crisi è imminente. “Stiamo scherzando con il fuoco”, dice l’economista Alex Segovia.

Lo scoglio della criminalità
La disputa verte in parte sulla maniera con cui ridurre il disavanzo di bilancio, che lo scorso anno rappresentava, secondo alcune stime, circa il 4 per cento del pil. L’Fmln vuole aumentare le scarse entrate del governo aumentando la tassa sul reddito e imponendone una sulle proprietà immobiliari. Arena spinge soprattutto per i tagli alla spesa. I partiti devono ancora trovare un accordo sulla necessaria riforma delle pensioni. Un “tavolo dei negoziati” messo in piedi lo scorso aprile non è servito finora a trovare una soluzione. Il governo ha chiamato in aiuto il Fondo monetario internazionale, che adesso potrebbe negoziare una soluzione alla crisi.

Un eventuale accordo sul bilancio sbroglierebbe solo uno dei tanti nodi dell’economia. L’uso del dollaro forte come valuta nazionale da parte del Salvador mantiene stabili i prezzi ma indebolisce le esportazioni. Un altro ostacolo è rappresentato da una burocrazia inefficiente: spedire merci dal Salvador agli Stati Uniti richiede lo stesso tempo che dal Vietnam, spiega un osservatore a San Salvador. Con un disavanzo commerciale di quasi il 20 per cento del pil, El Salvador dipende dalle rimesse dei due milioni di salvadoregni che vivono negli Stati Uniti.

Ma niente limita l’economia più della criminalità, che frena gli investimenti e spinge i giovani lavoratori fuori del paese. Il costo della violenza e dell’insicurezza ammonta al 16 per cento del pil, secondo una stima. Le gang estorcono grosse somme di denaro alle aziende, quasi il 3 per cento del pil. Di recente la minaccia della violenza delle gang ha svuotato interi villaggi. A settembre alcune autorità locali dell’ovest del paese hanno organizzato, su un terreno da pallacanestro, un campo di accoglienza per alcune decine di famiglie a cui le gang avevano imposto di partire, la prima struttura per sfollati interni dai tempi della guerra civile.

Il governo dell’Fmln, che cerca di mostrarsi altrettanto inflessibile dell’opposizione coi criminali, sostiene che il pugno duro utilizzato di recente stia funzionando. Le forze di sicurezza hanno ucciso novecento membri delle gang negli ultimi due anni. Il governo ha tagliato in molti casi i contatti telefonici tra i criminali imprigionati e i loro soci che, in libertà, effettuano estorsioni e commettono omicidi. Il numero degli omicidi lo scorso anno è sceso del 20 per cento, arrivando a quota 5.278.

Mara Salvatrucha e una fazione all’interno di Barrio 18, forse indebolite dall’offensiva del governo, hanno di recente proposto di aprire un dialogo con il governo, deponendo le armi. Barrio 18 ha perfino proposto di rinunciare alle estorsioni. Finora l’Fmln si è rifiutato di negoziare.

Alcune voci critiche sostengono che la mano dura del governo abbia peggiorato le condizioni delle carceri, già orribili. Sostengono che le uccisioni di criminali da parte della polizia equivalgono a omicidi di stato. Una simile brutalità provocherà ulteriore violenza, secondo José Luis Sanz, direttore di El Faro, un giornale online.

La sorprendente procura generale
Quando lo stato fa qualcosa di buono, di solito lo fa nonostante i partiti, e non grazie a loro. Il processo di scelta in cariche fondamentali come quella di pubblico ministero e giudice di cassazione è concepito in modo che solo figure emanazione dei partiti politici vi accedano. Talvolta capita però che arrivino dei funzionari meno asserviti.

Così è accaduto nel caso di Douglas Meléndez, procuratore generale dal 2016, che ha stupito i salvadoregni lottando contro la corruzione in casi che coinvolgevano esponenti di entrambi i partiti. Un ex presidente dell’Fmln, Maurico Funes, è fuggito in Nicaragua. Antonio Saca, che ha governato fino al 2009 in quanto membro di Arena, è in prigione in attesa di giudizio, accusato di aver partecipato alla sottrazione di 246 milioni di dollari di fondi pubblici, circa l’1 per cento del pil. “Vedere un presidente in manette somigliava a una scena da film”, spiega Roberto Burgos dell’ong Dtj. Anche la corte costituzionale ha mostrato un atteggiamento d’indipendenza, opponendosi agli abusi dei partiti politici. Simili misure di controllo del potere rappresentano la più grande speranza che ha El Salvador di ripulire il governo e modernizzare la politica.

Ma il partito al potere ha risposto a queste sfide con minacce e violenza. Alcuni manifestanti, incitati dall’Fmln, hanno lanciato minacce di morte contro i giudici costituzionali, spiega Sidney Blanco, che fa parte della corte.

I funzionari indipendenti rimangono in carica grazie soprattutto al sostegno di potenze esterne come gli Stati Uniti. Le fotografie che ritraggono Meléndez in compagnia di ambasciatori stranieri lanciano il messaggio che non è lasciato da solo, spiega Burgos. Il sostegno degli Stati Uniti al procuratore generale fa parte di un più ampio programma di miglioramento dell’attività di governo, delle condizioni d’investimento e dell’operato delle forze dell’ordine a El Salvador, volto a diminuire l’attrattiva esercitata dalla possibilità d’emigrazione verso gli Stati Uniti.

El Salvador è uno dei beneficiari dell’Alleanza per la prosperità, che fornisce anche agli altri due paesi del “triangolo del nord” centroamericano, Guatemala e Honduras, quasi 750 milioni di dollari all’anno. L’autorizzazione a spendere tale denaro in El Salvador sarebbe probabilmente stata ritirata se il governo avesse esautorato Meléndez.

I salvadoregni si aspettano che questa assistenza continui durante la presidenza Trump. L’obiettivo di quest’ultimo, in fin dei conti, è di rallentare l’immigrazione. Ci sono alcuni segnali positivi, quindi. Ma c’è qualcosa di sbagliato quando degli stranieri mostrano una maggiore volontà politica di riformare El Salvador rispetto agli stessi politici salvadoregni.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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