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La pandemia mette alla prova l’isolamento della Corea del Nord

Pyongyang, Corea del Nord, 15 maggio 2020. (Kyodo/Reuters/Contrasto)

L’economia non era un punto all’ordine del giorno quando Kim Jong-un, il leader nordcoreano, ha fatto la sua apparizione a una riunione di partito, il 23 maggio, dopo che per la seconda volta in due mesi era rimasto tre settimane lontano dai riflettori. Secondo la stampa di stato, il leader supremo ha promosso vari ufficiali e disposto alcuni piani per rafforzare l’apparato di deterrenza nucleare del suo paese. È esattamente il genere di azione che Kim dovrebbe evitare, ha commentato il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, se vuole che la Corea del Nord abbia una “grande economia”.

Nel corso degli ultimi mesi l’economia del paese è apparsa ancora meno grande del solito. La decisione del leader d’isolare il paese dal mondo, a gennaio, per evitare la diffusione del covid-19 (la Corea del Nord continua a sostenere di non avere registrato nessun caso) ha voluto dire la chiusura del confine con la Cina, attraverso il quale passano quasi tutte le sue attività commerciali. Oltre a mettere in difficoltà i cittadini nordcoreani ordinari, questo blocco autoimposto sembra aver colpito anche quelli privilegiati della capitale Pyongyang. Il tentativo del governo di limitare gli effetti sulle casse dello stato, attraverso un sistema obbligatorio di acquisto di obbligazioni, sembra aver esasperato il problema. L’amata politica nordcoreana del juche, o autosufficienza, potrebbe aver raggiunto i suoi limiti.

Anche prima che la pandemia facesse sentire i suoi effetti, l’ultimo inasprimento delle sanzioni aveva ridotto gli scambi commerciali tra Corea del Nord e Cina. Secondo i dati doganali cinesi, le esportazioni verso il nord sono scese da poco meno di 350 milioni di dollari, nei primi due mesi del 2016, a meno di 250 milioni durante lo stesso periodo del 2019. Le importazioni dalla Corea del Nord sono calate da 350 milioni di dollari a meno di cinquanta nello stesso periodo. Questi numeri non spiegano tutto, poiché escludono le consegne di petrolio greggio dalla Cina tramite oleodotto. E non includono i traffici illegali dei cittadini nordcoreani, né le attività commerciali illecite del regime, come i trasferimenti di petrolio da nave a nave in alto mare.

Le limitazioni alla frontiera hanno ridotto il già modesto flusso d’informazioni in uscita dal paese

Ciò nonostante sembra che le sanzioni abbiano avuto effetti dolorosi. Nel suo discorso di capodanno, Kim ha avvertito la popolazione che erano in vista giorni difficili, e che il paese aveva bisogno di diventare ancor più autosufficiente: una rottura rispetto alle promesse di crescita e prosperità che in passato avevano caratterizzato il suo regime.

La decisione di chiudere il confine con la Cina, a gennaio, ha aggravato il problema, mettendo praticamente fine al commercio ufficiale tra i due paesi. Le importazioni dalla Cina sono scese sotto i duecento milioni di dollari a gennaio e febbraio, e sotto i venti milioni a marzo. Le esportazioni sono quasi del tutto scomparse. Il lockdown è sembrato inoltre mettere fine a quel poco di contrabbando del settore privato che esisteva in precedenza, con gli uomini d’affari cinesi che hanno riferito di controlli quasi insuperabili.

Gli effetti di questi sviluppi sulla vita quotidiana in Corea del Nord sono persino più difficili da valutare del solito, poiché le limitazioni alla frontiera hanno ridotto il già modesto flusso d’informazioni in uscita dal paese. Non ci sono segnali di una grave carenza di cibo o altri prodotti essenziali, ma ci sono state variazioni dei prezzi frequenti e repentine. Nella città di confine di Hyesan, il prezzo di un chilo di riso è aumentato di oltre il 20 per cento tra gennaio e aprile, secondo Dailynk, un sito web specializzato in notizie provenienti dalla Corea del Nord. Dailynk riferisce inoltre che il prezzo del petrolio si è impennato, e che la valuta nordcoreana, lo won, è crollata rispetto allo yuan cinese e al dollaro statunitense. Marcate differenze regionali nei prezzi suggeriscono che ci possa essere stata una limitazione sui movimenti interni, oltre alla chiusura delle frontiere, dice Teodora Gyupchanova della ong Nkdb di Seoul.

Espropriazione di stato
È probabile che l’impatto sui mezzi di sussistenza sia stato aggravato dal fatto che la tarda primavera è tradizionalmente il periodo di magra in Corea del Nord, durante il quale le riserve invernali calano ma poche coltivazioni sono pronte per il raccolto. All’inizio di aprile Rodong Sinmun, il portavoce del governo, che aveva fatto circolare molti dei classici rapporti dove si sottolineava che la produzione era stata superiore alle previsioni, ha ammesso che la popolazione stava facendo i conti con alcune “difficoltà”. Ha poi dichiarato che il paese era “in ritardo” rispetto ad altri nello sviluppo economico e che avrebbe avuto bisogno di una dose supplementare di “autosufficienza” per colmare questo ritardo.

Resoconti di persone che, prese dal panico, si sono riversate a comprare beni d’importazione nei vistosi centri commerciali di Pyongyang sono un indizio di carenza di prodotti, o almeno di diffuse voci secondo le quali questi potrebbero presto scarseggiare. Si è parlato anche di un aumento dei prezzi dei beni di produzione cinese in altre parti del paese. Le fabbriche che producono beni di consumo, come vestiti e scarpe, sono state invitate a cercare alternative alle materie prime importate, invece di aspettare la riapertura del confine.

Nel frattempo l’apparente penuria di valuta straniera ha probabilmente ostacolato lo sviluppo di progetti di punta, come i nuovi centri di villeggiatura, concepiti per soddisfare i sodali del regime. Per reazione il paese ha attinto alle riserve di proprietà delle aziende. Ha inoltre lanciato un ampio programma di acquisto di obbligazioni, volto a finanziare oltre metà del bilancio attuale, con alcune aziende costrette a utilizzare le loro riserve di valuta estera per acquistare debito di stato. Data l’incostanza con cui la Corea del Nord ha ripagato i suoi debiti e i metodi utilizzati per convincere le persone ad acquistare le obbligazioni (il capo di un’azienda estrattiva sarebbe stato giustiziato a causa del suo rifiuto), il programma appare in pratica una cortese forma d’espropriazione.

Chris Green dell’università di Leida ritiene che la cosa possa rientrare in una strategia di lungo periodo per ripristinare il controllo dello stato sull’economia. “C’è stato un periodo, all’inizio dell’era Kim Jong-un, nel quale alle grandi aziende era concesso accumulare una propria riserva di valuta pesante, ma a quanto pare la cosa non è più ritenuta auspicabile”. Tuttavia gli imprenditori nordcoreani, abituati ai periodici tentativi del regime d’impadronirsi del loro denaro, sanno abilmente come occultarlo.

Indipendentemente dal fatto che il governo fosse in difficoltà a finanziarsi, o invece preoccupato del fatto che i funzionari che formano lo zoccolo duro del regime fossero insoddisfatti della penuria di beni importati, Kim sembra aver deciso che un isolamento completo è insostenibile. Sembra che le limitazioni alla frontiera si stiano allentando, e l’ingresso di alcuni beni sarebbe stato nuovamente consentito negli ultimi mesi. I prezzi di riso e petrolio sono calati. Naturalmente questo allentamento delle restrizione potrebbe determinare anche delle importazioni meno gradite, come dei casi di covid-19.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato sul settimanale The Economist.

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