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Il vaccino che promette la fine della pandemia

L’esecuzione di un test molecolare in un laboratorio di Vienna, Austria, il 30 ottobre 2020. (Leonhard Foeger, Reuters/Contrasto)

Nel corso di quest’anno segnato dal nuovo coronavirus, con molti giorni difficili di isolamento e paura, il mondo ha sperato in tempi migliori. Ha sperato in trattamenti più efficaci per il covid-19, test più rapidi e una migliore comprensione di come il sars-cov-2 aggredisce il corpo umano. Molte di queste cose stanno cominciando ad arrivare. Ma la speranza principale è che si possa trovare un vaccino. E ora sembra che l’obiettivo sia più vicino.

Il 9 novembre la Pfizer e la BioNTech, due aziende farmaceutiche, hanno annunciato che il vaccino su cui hanno collaborato ha un’efficacia che supera il 90 per cento nel prevenire casi sintomatici di covid-19. È un risultato sorprendente per un vaccino di prima generazione. In molti non avevano osato sperare in un’efficacia superiore al 70 per cento.

Quando il mercato azionario statunitense ha aperto, la notizia ha fatto salire le azioni della Pfizer del 15 per cento e quelle della BioNTech, un’azienda tedesca molto più piccola del colosso statunitense, del 24 per cento. La speranza che un vaccino possa riportare la vita a qualcosa di simile alla normalità ha fatto salire l’indice Standard & Poor 500 del 3,6 per cento, quasi un aumento record.

Anche le azioni delle compagnie aeree e delle banche hanno visto dei rialzi; quelle di Cineworld, una catena di cinema, sono aumentate di oltre il 50 per cento. Le principali borse europee avevano già registrato dei rialzi tra il 5 per cento e l’8 per cento. Richard Hatchett, responsabile del Cepi, una fondazione che finanzia la ricerca sui vaccini per le pandemie, ha commentato che i risultati erano “estremamente positivi e incoraggianti”. Ha aggiunto che il risultato aumenta la probabilità che anche molti degli altri vaccini in via di sviluppo possano funzionare.

Le domande chiave
Questo è importante perché un solo vaccino per il covid-19 non sarà sufficiente. Il prodotto della Pfizer-BioNTech, chiamato BNT162b2, deve essere mantenuto a bassissime temperature e la distribuzione mondiale sarà difficile. Richiede anche due somministrazioni, a tre settimane di distanza l’una dall’altra. Molti governi sperano in un vaccino che possa essere conservato a una temperatura più vicina a quella ambiente e che richieda una singola dose.

Il vaccino Pfizer-BioNTech si basa sull’uso dell’Rna messaggero (mRna): la tecnica consiste nel somministrare direttamente l’mRna responsabile della produzione di una proteina presente normalmente sulla superficie delle particelle virali. È questa proteina che scatena poi la risposta del sistema immunitario. Il vaccino è stato sperimentato su un gruppo etnicamente diversificato di 43mila persone e il processo non è ancora stato completato. I risultati annunciati si basano su un’analisi preliminare condotta da un gruppo indipendente di monitoraggio dei dati. Le aziende devono ancora sottoporre i loro risultati alla revisione paritaria (peer review) per essere pubblicati su una rivista scientifica.

Il vaccino può evitare che una persona sviluppi i sintomi del covid-19, ma potrebbe non impedire che sia comunque contagiosa

È possibile che la stima sull’efficacia del vaccino possa cambiare, man mano che vengono raccolti ulteriori dati. Detto questo, i risultati sono così notevoli che è improbabile che il risultato finale non sia comunque un farmaco estremamente utile.

Ma restano tre importanti interrogativi sul vaccino. Uno è quanto funziona negli anziani, uno dei gruppi più vulnerabili al covid-19, che potrebbero non rispondere altrettanto bene dei volontari della sperimentazione. Un altro è se previene l’infettività: il vaccino può evitare che una persona sviluppi i sintomi del covid-19, ma potrebbe non impedire che sia comunque contagiosa. E infine, la sua efficacia a lungo termine è del tutto sconosciuta.

Malgrado questo, non c’è dubbio che i risultati siano estremamente positivi. La Pfizer afferma anche che negli studi in corso non sono emersi seri problemi di sicurezza, e che si stanno raccogliendo ulteriori dati sull’efficacia.

Nelle prossime settimane sono attese notizie anche su altri due vaccini in via di sviluppo, da AstraZeneca, un’altra grande azienda farmaceutica, con un team dell’università di Oxford, e Moderna, un’azienda di biotecnologia statunitense. Il vaccino AstraZeneca-Oxford è già noto per stimolare una buona risposta immunitaria negli anziani. Anche se il vaccino della Pfizer non funziona molto bene in questo gruppo, quindi, ci sono buone probabilità che un altro farmaco possa invece essere efficace.

Insomma, l’arrivo dei vaccini per domare la pandemia è ormai a portata di mano. Ma ci vorrà tempo. Il prossimo passo per la Pfizer sarà richiedere l’autorizzazione di emergenza per il vaccino negli Stati Uniti e in Europa. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha una procedura per consentire l’uso di queste autorizzazioni anche in paesi che non hanno agenzie di regolamentazione.

La domanda per il BNT162b2 dovrà aspettare fino alla terza settimana di novembre. Pfizer non la presenterà fino a quando la sperimentazione non avrà raccolto due mesi di dati sulla sicurezza del vaccino. Le agenzie regolatrici potrebbero autorizzarne l’uso per i gruppi ad alto rischio (come i medici ospedalieri e gli infermieri) entro la fine dell’anno, in attesa di ulteriori dati sulla sicurezza; un’approvazione più ampia potrebbe arrivare nei primi mesi del 2021.

Questioni distributive
Anche le forniture di vaccini saranno inizialmente limitate, sebbene la produzione di massa del BNT162b2 sia già cominciata a ottobre. Ci sono anche enormi difficoltà distributive da affrontare. Il mondo non ha mai intrapreso una vaccinazione su così vasta scala. L’Unicef, l’agenzia delle Nazioni Unite per l’infanzia, sarà uno degli organismi che guideranno la distribuzione su scala globale dei vaccini per il covid-19. L’organizzazione procura ogni anno tra i 600 e gli 800 milioni di siringhe per le vaccinazioni infantili di routine e stima che le richieste per il covid probabilmente triplicheranno o quadruplicheranno questi numeri. Sia l’Unicef sia l’Oms stanno mappando la disponibilità mondiale della capacità di stoccaggio della catena del freddo per aiutare i paesi a ricevere i vaccini.

A lungo termine, un vaccino efficace al 90 per cento renderà possibile raggiungere l’immunità di gregge. Se un numero sufficiente di persone assume un vaccino così efficace, anche chi non lo fa, o non può farlo, sarà protetto. A breve termine, tuttavia, la priorità per il mondo intero è che si scelgano bene le categorie da vaccinare per prime. Questo contribuirà a tenere sotto controllo la pandemia e a garantire una ripresa più rapida dell’economia globale. Anche i viaggi e il commercio potranno tornare a qualcosa che va verso la normalità.

Un’efficacia del 90 per cento è quanto di più vicino alla protezione completa a cui la vaccinologia può mirare. Diventa uno strumento essenziale per medici, infermieri e assistenti sociali, consentendogli di svolgere il proprio lavoro con meno timori. Le persone in tante altre professioni si sentiranno sollevate, ma dovranno essere pazienti e aspettare il loro turno.

E c’è un altro motivo per festeggiare. La tecnica dell’mRna adottata dalla Pfizer e dalla BioNTech non aveva mai dimostrato di funzionare negli esseri umani prima d’ora. I dati raccolti dai test su larga scala di questa “tecnologia piattaforma” permettono di apportare rapidamente e facilmente piccole modifiche alla sequenza dell’mRna, modificando così le proteine ​​a cui il corpo sviluppa l’immunità. Questo significa che se emergessero nuovi ceppi di covid-19, potrebbero essere create rapidamente nuove versioni del vaccino per contenerli.

È probabile che ci vogliano diversi mesi dopo l’approvazione delle agenzie regolatrici prima che i vaccini abbiano un impatto sul corso della pandemia. Ma questo segna l’inizio della fine.

Questo articolo è stato pubblicato sul settimanale britannico The Economist.

Da sapere
In attesa dello studio scientifico

Gli ottimi risultati ottenuti dal vaccino della Pfizer e della BioNTech vanno letti con cautela perché sono stati annunciati con un comunicato stampa e non con un articolo scientifico che permetta di valutarli nel dettaglio.

Pfizer e BioNTech hanno condotto una cosiddetta sperimentazione di fase tre su 43.538 volontari. La metà di loro ha ricevuto il vaccino: due iniezioni a distanza di tre settimane l’una dall’altra. L’altra metà, il gruppo di controllo, ha ricevuto un placebo. Il tutto senza che i partecipanti sapessero cosa avevano ricevuto. Poi sono tornati a casa. I ricercatori hanno quindi controllato periodicamente tramite tampone molecolare (Pcr) se qualcuno dei volontari risultava contagiato dal virus mentre andava avanti normalmente con la sua vita di tutti i giorni (con una malattia che ha ha già ucciso più di 1,2 milioni di persone nel mondo, e per la quale non esiste una cura, non sarebbe stato etico infettarle intenzionalmente).

Secondo il protocollo depositato da Pfizer, le analisi hanno preso in considerazione solo le persone che hanno presentato sintomi di covid-19 almeno sette giorni dopo il richiamo. Arrivati a 94 pazienti contagiati (sui 164 previsti per considerare concluso lo studio) una commissione indipendente ha fatto un’analisi provvisoria dei dati raccolti fino a quel momento, e ha visto che la maggior parte dei volontari contagiati faceva parte del gruppo che aveva ricevuto il placebo. Chi aveva ricevuto il vaccino aveva il 90 per cento di rischio in meno di essere infettato.

Andando avanti con lo studio la percentuale potrebbe variare, perché il vaccino è meno efficace o perché l’immunità fornita dal prodotto ha una breve durata, spiega Le Monde. Non si sa ancora quanto duri l’immunità conferita dalla malattia. Tantomeno si sa quanto può durare quella conferita da un vaccino. La cifra del 90 per cento sembra comunque molto alta. È una copertura simile a quella dei vaccini contro il morbillo o la rosolia, che è intorno al 95 per cento, e supera di gran lunga quella contro l’influenza, che oscilla tra il 30 e il 70 per cento a seconda degli anni e dell’età della persona interessata. Rimane un’ultima domanda, continua Le Monde: da cosa proteggerà? Dalla malattia e dai suoi sintomi, come sembra indicare il protocollo, o dall’infezione? Di fronte a una pandemia diffusa in parte da portatori asintomatici, trovare la risposta sembra essenziale.


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