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In Cina il movimento #MeToo non è finito

Fuori dal tribunale, a Pechino, dove si è svolta la prima udienza del processo tra Xianzi e Zhu Jun, il 2 dicembre 2020. (Noel Celis, Afp)

Nel 2014 Xianzi, una stagista presso l’emittente televisiva nazionale cinese, entrò nel camerino del presentatore Zhu Jun per intervistarlo. La ragazza voleva raccogliere informazioni da inserire in un progetto per l’università. Xianzi racconta che una volta rimasti soli, Zhu Jun l’afferrò e tentò di baciarla. Quando la ragazza raccontò tutto alla polizia, si sentì consigliare di non denunciarlo per evitare ripercussioni negative sul Partito comunista. Zhu è un personaggio molto famoso. Aveva anche presentato il gala di fine anno, il programma tv più visto al mondo.

Quattro anni dopo quell’episodio, la campagna #MeToo, in crescita globale, ha cominciato a spingere le donne cinesi a raccontare le loro esperienze di molestie sessuali. Xianzi (lo pseudonimo con cui la ragazza è conosciuta in Cina) ha messo nero su bianco il suo racconto ed è diventata il volto del movimento nel paese. Zhu ha negato le accuse e ha denunciato Xianzi per diffamazione. La ragazza, a sua volta, ha querelato il presentatore chiedendo le sue scuse e 50mila yuan (6.200 euro) di danni. Il governo cinese guarda con sospetto all’attivismo #MeToo nel timore che possa trasformarsi in dissenso politico, e ha soppresso la copertura mediatica della disputa tra Xianzi e Zhu. Ma il 2 dicembre la prima udienza del processo ha riportato la ragazza sotto la luce dei riflettori. L’udienza non ha prodotto un avanzamento del caso, perché Zhu non si è presentato e la seduta è stata aggiornata. Si riprenderà probabilmente nel 2021. Ma sul social network cinese Weibo gli interventi legati all’avvio del processo hanno avuto più di 17 milioni di visualizzazioni e migliaia di commenti.

Il fatto che la causa del #MeToo sia ancora viva in Cina è apparso evidente fuori dal tribunale di Pechino. Nonostante la presenza massiccia delle forze dell’ordine e un clima politico che scoraggia la partecipazione alle manifestazioni pubbliche trannche che nei più arditi o dissennati, più di cento persone si sono riunite per sostenere Xianzi (alcuni sono immortalati sullo sfondo della foto che ritrate la querelante). Qualcuno ha addirittura sventolato cartelli raffiguranti riso e conigli, perché in mandarino le due parole suonano simili all’inglese “me too”. Un gruppo ha esposto lo slogan “Insieme pretendiamo una risposta dalla storia”.

In Cina molti aspetti del sistema favoriscono gli uomini, a cominciare dalle questioni familiari e lavorative

Da quando ha deciso di raccontare pubblicamente la sua esperienza, Xianzi ha ricevuto decine di migliaia di messaggi di donne da tutto il paese che volevano condividere con lei i racconti degli abusi sessuali subiti. In Cina molte donne hanno accusato di molestie uomini potenti, tra cui accademici, personaggi della tv e dell’informazione, leader di organizzazioni benefiche e figure religiose (poche donne hanno osato puntare il dito contro i funzionari pubblici).

Nel 2018 il più alto tribunale della Cina ha chiarito per la prima volta che le molestie sessuali possono giustificare una denuncia. Eppure è sorprendente che il caso di Xianzi sia arrivato fino a questo punto, perché nel paese le vittime di molestie incontrano enormi ostacoli quando vogliono rivolgersi ai tribunali. I costi dei processi sono elevati, e molti avvocati e ong non hanno le competenze necessarie in un ramo del diritto poco esplorato. Spesso le donne che decidono di parlare subiscono aggressioni online da uomini contrari al femminismo e al movimento #MeToo. Xianzi conferma che le donne “devono affrontare un contesto estremamente ostile”.

In Cina molti aspetti del sistema favoriscono nettamente gli uomini, a cominciare dalle questioni familiari e lavorative. Nella classifica dell’uguaglianza di genere stilata dal Forum economico mondiale, la Cina supera la Corea del Nord e il Giappone, ma da quando Xi Jinping è diventato il leader del paese, nel 2012, la Cina è precipitata dal 69° al 106° posto, dietro Malaysia e lo Sri Lanka.

Ciononostante oggi le donne cinesi laureate sono più numerose che mai. Nel 2009, per la prima volta, le studenti universitarie hanno superato i maschi, e da allora sono state stabilmente in maggioranza. Le ragazze con un livello d’istruzione elevato sono state in prima fila nel movimento #MeToo. Le loro rivendicazioni dei diritti delle donne sono “molto difficili da sopprimere”, sottolinea Wang Zheng, dell’università del Michigan.

Prima del movimento #MeToo le discussioni sulle donne e le questioni di genere sui mezzi d’informazione tradizionali erano molto limitate

Il Partito comunista accusa “forze straniere ostili” di aver alimentato le proteste. Nel 2015 la polizia ha arrestato un gruppo di donne che distribuiva adesivi contro le molestie sessuali sui mezzi di trasporto. Le donne, diventate famose come “le cinque femministe”, hanno trascorso settimane in carcere e sono state rilasciate solo dopo che la vicenda ha provocato reazioni sdegnate in Cina e all’estero. Nel 2018, in visita alla sede della Federazione delle donne di tutta la Cina, Xi dichiarò che l’organizzazione (sostenuta dallo stato) avrebbe dovuto “assolutamente evitare di diventare una di quelle organizzazioni per femministe e donne snob come ne esistono in altri paesi”.

Anche se ostacolata dal governo, l’attività delle donne ha prodotto alcuni risultati. “Prima del movimento #MeToo le discussioni sulle donne e le questioni di genere sui mezzi d’informazione tradizionali erano molto limitate”, spiega Zhang Zhiqi, presentatrice di un podcast molto seguito dalle femministe cinesi. “Oggi c’è molta più consapevolezza delle questioni legate all’uguaglianza di genere, e credo che il merito sia del #MeToo”.

Il nuovo codice civile, entrato in vigore il 1 gennaio, dà ai datori di lavoro il compito di evitare gli episodi di molestie sessuali nell’ambiente lavorativo. Molte femministe ritengono che questo successo sia dovuto ai loro sforzi per evidenziare il problema. “Negli ultimi anni sono stati fatti molti passi avanti nella sfera legale per garantire i diritti delle donne in Cina, anche se per le femministe e le ong sta diventando sempre più difficile operare”, sottolinea Feng Yuan di Equality, un’organizzazione di Pechino che difende i diritti delle donne.

Xianzi non crede che alla fine vincerà la causa (il processo intentatole da Zhu è ancora pendente), ma ritiene che anche la sconfitta sarebbe una “vittoria”, perché la sua denuncia avrà comunque contribuito ad attirare l’attenzione sul tema degli abusi sessuali. Quando è calata la sera davanti al tribunale e la temperatura è scesa sotto lo zero, i sostenitori della ragazza che la seguono sul web hanno cominciato a inviare bubble tea, hamburger, pollo fritto, spaghettini, disinfettante per le mani, guanti e denaro per il taxi alle persone ancora riunite sul posto. I corrieri si sono presentati con i prodotti acquistati chiedendo chi fosse “l’amico di Xianzi’”. La folla ha risposto “Siamo tutti amici di Xianzi”.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è uscito sull’Economist.

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