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Anche in Francia si scende in piazza contro le violenze della polizia

Una manifestazione a Parigi contro la violenza della polizia, 2 giugno 2020. (Adnan Farzat, NurPhoto/Getty Images)

Giovani dei quartieri “che non si mobilitano mai”, persone “che non si erano mai viste prima”, gilet gialli che non immaginavano “di avere dei punti in comune con questa lotta”, liceali attivi nel movimento per il clima che “vogliono un mondo diverso”, bianchi più benestanti che “cominciano a capire che anche loro hanno un ruolo da svolgere in questa lotta”. Erano tutti lì, martedì 2 giugno, davanti al tribunale di Parigi per far sentire la loro voce e la loro rabbia contro le violenze della polizia, su richiesta del comitato La verità per Adama, il ragazzo di 24 anni morto sul pavimento nella caserma di Persan (nel dipartimento Val d’Oise, a nord di Parigi) nel luglio del 2016, dopo un arresto violento dei gendarmi. Erano in ventimila secondo la prefettura, almeno 60mila secondo gli organizzatori.

Assa Traoré, la sorella di Adama, non se l’aspettava. E neanche i militanti agguerriti intorno a lei. “Questa mobilitazione segna una rottura generazionale”, osserva Almamy Kanouté del comitato per Adama. “Sono giovani, a volte molto giovani”. Nessuno si immaginava una tale mobilitazione, che è continuata anche nel fine settimana in diverse città della Francia. Più di 23mila persone in totale si sono riunite a Parigi, Lione, Marsiglia, Lille, Bordeaux e altre ancora.

Tra i militanti si parla di una congiuntura di eventi che hanno contribuito a una “presa di coscienza accelerata” sull’argomento da parte di una generazione – quella che manifesta anche per il clima – che non ha paura di rovesciare le norme, di una “coincidenza perfetta” dopo decenni di lotte contro il razzismo e di quattro anni di impegno del comitato Adama, una macchina da guerra che non mostra alcun segno di cedimento, anzi.

Senza una vera e propria sede né finanziamenti stabili, a parte la vendita di magliette, è nel salotto di Assa Traoré, nel dipartimento della Val de Marne, a sudest di Parigi, che si decide tutto, su un grande divano in cuoio nero che occupa metà della stanza.

Alleanze strategiche
“Giustizia per Adama” è innanzitutto una lotta per la verità sulla morte di Adama Traoré; è una procedura giudiziaria piena di colpi di scena caratterizzata da perizie e controperizie; è un volto, quello di Assa Traoré, la carismatica sorella maggiore, figura di punta della lotta contro la violenza della polizia; ma è anche un comitato che si impegna dietro le quinte per moltiplicare le azioni nei quartieri popolari, per far girare le proprie informazioni sui social network e per costruire delle alleanze strategiche con le organizzazioni della sinistra extraparlamentare.

Dal 2 giugno è diventato uno slogan, un grido di rabbia e di unione, la versione francese del movimento di protesta mondiale nato negli Stati Uniti il 25 maggio, giorno della morte – filmata – di George Floyd, un afroamericano di 46 anni, durante il suo arresto da parte di un poliziotto bianco. “Giustizia per Adama” è la versione francese delle sue ultime parole, “I can’t breathe” (non posso respirare), che si ripetono in tutte le manifestazioni. “Sono le stesse parole che mio fratello ha pronunciato prima di morire”, conferma Assa Traoré. Lo shock mondiale provocato dalle immagini della morte di George Floyd e dal movimento Black lives matter “è stato uno schiaffo per il pianeta”, aggiunge. E ha trovato un’eco anche in Francia.

Il lockdown e la serie di violenze della polizia compiute in questo periodo hanno “creato un clima di indignazione che si è diffuso per settimane sui social network”, ha osservato Massy Badji, 37 anni, operatore sociale a Châtillon (nel dipartimento Hauts de Seine, a ovest di Parigi) e professore in un liceo tecnico. “Dopo tutto questo non potevo più rimanere dietro il mio computer senza fare nulla”, racconta Saly, sulla ventina, impiegata in un’impresa della zona. Il 2 giugno è andata a manifestare per la prima volta nella sua vita. Per George Floyd e per Adama Traoré, di cui “ovviamente” conosceva la storia.

Sono ormai quattro anni che la sorella maggiore di Adama ripete e impone il nome di suo fratello, “ovunque c’è dell’ingiustizia, della disuguaglianza e della repressione”, spiega Assa Traoré, che non vuole parlare di “convergenza di lotte”. “Ognuno mantiene le proprie specificità, ma possiamo fare delle alleanze, e aiutarci a vicenda quando serve”.

Dal 2 giugno è diventato uno slogan, un grido di rabbia e di unione, la versione francese del movimento di protesta nato negli Stati Uniti

Il comitato per Adama è ovunque. Lo abbiamo visto battersi a fianco del personale di pulizia nelle stazioni; sfilare con i ferrovieri del sindacato Sud-Rail durante le manifestazioni dei gilet gialli nel dicembre del 2018; unirsi ai giovani dello Youth for climate nel settembre del 2019; occupare un centro commerciale con gli ecologisti del movimento Extinction rebellion un mese dopo e dare il proprio sostegno al collettivo contro il seppellimento delle scorie radioattive di Bure (nella Mosa).

Il comitato è soprattutto presente in tutte le manifestazioni e marce silenziose contro le violenze della polizia. Ma è presente anche in modo più discreto nei quartieri popolari della Francia. Sono ormai tre anni che con i componenti del comitato Adama, Assa Traoré gira per le città del paese per “discutere con i giovani”.

Simbolo tra i più noti in Francia per la lotta contro le violenze della polizia, “Giustizia per Adama” è diventato anche il simbolo di una lotta, “la voce dei quartieri” contro “il razzismo, le discriminazioni e le disuguaglianze”, e occupa il vuoto lasciato dalle organizzazioni antirazziste tradizionali degli anni ottanta. Organizzazioni come Sos-Razzismo o il Movimento contro il razzismo e per l’amicizia tra i popoli (Mrap) hanno perso forza negli ultimi anni. “Il comitato Adama è diventato un punto di riferimento per la comunità nera, così come per gli arabi e per tutti coloro che non hanno più un’organizzazione o una figura in cui riconoscersi”, commenta Assa Traoré.

Consapevole di avere un ruolo politico nella costruzione di un vasto movimento popolare, il comitato non vuole essere sotto la tutela di un partito come era successo in passato per Sos-Razzismo (Partito socialista) e il Mrap (Partito comunista), nonostante il sostegno di diverse formazioni come il Nuovo partito anticapitalista, La France insoumise, Europa Ecologia-I verdi o il Partito comunista. “Nessuno ci potrà strumentalizzare, abbiamo imparato dagli errori dei nostri fratelli maggiori”, afferma Youcef Brakni del comitato Adama. “Siamo politicizzati e politici, ma nel senso nobile del termine”.

Il comitato accetta però il sostegno dei politici a titolo individuale, come i deputati della France insoumise Eric Coquerel e Clémentine Autain, o della senatrice dei Verdi Esther Benbassa. “Il 2 giugno alla manifestazione erano i benvenuti. Al contrario François Ruffin sarebbe stato accolto diversamente”, sottolinea Madjid Messaoudene, deputato comunale a Saint-Denis e impegnato da tempo a fianco del comitato Adama. Ruffin, deputato della France insoumise eletto nella circoscrizione della Somme, aveva dichiarato durante un comizio nel settembre del 2017 di voler “aspettare le conclusioni dell’inchiesta” prima di “schierarsi”. Affermazioni che ancora oggi gli vengono rimproverate.

Cambio di paradigma
“Come noi anticapitalisti e come molti altri, il comitato Adama denuncia un sistema”, spiega Anasse Kazib, ferroviere e sindacalista Sud-Rail, presente a tutte le marce per Adama organizzate ogni estate a Beaumont-sur-Oise, dove abitava il ragazzo.

Una posizione condivisa anche dall’Azione antifascista Parigi-banlieue (Afa). I suoi militanti erano tutti presenti il 2 giugno ed era anche previsto un intervento per leggere un testo scritto da loro, ma alla fine hanno fatto “il servizio d’ordine”. Camille, uno di questi antifascisti, racconta: “Siamo in contatto con loro dal luglio del 2016, ci hanno aiutato gli ex del Movimento dell’immigrazione e delle banlieues (Mib). E la nostra composizione sociale e razziale ha reso questo processo molto naturale. È una generazione di quartieri popolari che lotta contro dei piccoli bianchi”. Gli antifascisti dell’Afa ritengono che quello che subiscono i militanti radicali dopo le manifestazioni contro la legge sul lavoro del 2016 sia la riproduzione di quello che succede da decenni nei quartieri popolari contri “i neri e gli arabi”.

Un altro punto di convergenza è il movimento dei “gilet gialli”. Il comitato Adama ha sostenuto i manifestanti e gli antifascisti hanno partecipato a tutte le “azioni”, come i blocchi stradali, per esempio quello al Mercato internazionale di Rungis. “Il 2 giugno c’erano tutti i ‘gilet gialli’ di Rungis”, assicura Camille. Per lui c’è un punto in comune tra il comitato Adama, i “gilet gialli”, gli attivisti delle Zad (Zone da difendere) o chi partecipa alle manifestazioni sindacali: “Accettare l’antagonismo con la polizia”. Edouard (il nome è di fantasia), militante autonomo e “gilet giallo”, afferma: “Ci rendiamo conto che la lotta contro le violenze della polizia e contro il governo sono un tutt’uno, c’è una continuità”.

Sullo sfondo c’è la lotta contro un sistema “di dominio”, con i messaggi provenienti dagli Stati Uniti basati sul “privilegio bianco”. Dopo la morte di George Floyd hanno inondato i social network, in particolare Instagram: “Muted, listen and educate yourself” (Taci, ascolta ed educa te stesso), si poteva leggere su molti account, rilanciati negli ambienti artistici e della moda.

“Ci riconosciamo pienamente in questa logica, denunciando il razzismo sistematico nella polizia”, riconosce Assa Traoré. “Per molto tempo siamo stati disturbati dal Partito degli indigeni della repubblica, che non rappresenta nulla e non ha fatto altro che creare polemiche”, spiega Brakni. “Oggi c’è un cambio di paradigma, una diga sta saltando”.

Questi eventi segnano l’inizio “di una presa di coscienza in quanto bianca”, osserva Cloé, 31 anni, regista parigina di film e di pubblicità. “Credevo di avere le idee chiare sul mio antirazzismo, in realtà era tutto sbagliato. Il 2 giugno mi sono detta: è questo il momento, non devo parlare al loro posto ma devo essere presente”. Per i militanti dell’antirazzismo decoloniale o politico, Cloé è “un’alleata”. “L’antirazzismo degli alleati è una trasformazione radicale”, analizza la sociologa Nacira Guénif, vicina al movimento decoloniale. “Si stanno rendendo conto che non bisogna agire al posto nostro, ma insieme a noi”.

“La giovane generazione ha meno reticenze a rimettersi in discussione, a riflettere sulle norme, a usare parole che fanno paura alle generazioni precedenti”, afferma Dawud, militante afro-femminista parigina di 28 anni. “Per loro parlare di ‘bianco’ non pone alcun problema”.

Come Gabriel, liceale di 16 anni andato a manifestare sabato 6 giugno a place de la Concorde a Parigi, che non vuole “più un mondo così”, non vuole “più accettare tutto questo”. “Questo” è “la violenza della polizia” nei confronti delle minoranze, è “il pianeta saccheggiato”; “un mondo così” è anche “il colore della mia pelle, bianca, che di fatto mi attribuisce una posizione dominante nella società”. “Tutto ciò è la stessa lotta”, conclude.

“Anche senza di noi il movimento continua”, osserva soddisfatto Brakni. Nell’ultimo fine settimana il comitato Adama non ha fatto alcun appello a manifestare. “Ormai tutto ciò non appartiene solo a noi, ma va ben oltre. E ognuno deve partecipare alla lotta”.

(Traduzione di Andrea De Ritis)

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