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Il senatore che blocca la transizione ecologica degli Stati Uniti

Il senatore democratico Joe Manchin a Washington, Stati Uniti, 14 dicembre 2021. (Anna Moneymaker, Getty Images)

La doccia fredda per Joe Biden e per la sinistra statunitense è arrivata nel pomeriggio del 19 dicembre sul canale preferito della destra: su Fox News il senatore democratico Joe Manchin ha detto di non essere disposto a sostenere il piano da 2.200 miliardi di dollari su cui il presidente ha puntato buona parte del suo programma politico. Senza il suo voto la proposta non può passare al congresso: visto che tutti i cinquanta senatori repubblicani voterebbero contro e i democratici non possono permettersi di perdere neanche un voto. E senza quel provvedimento per gli Stati Uniti diventa praticamente impossibile fare la propria parte per contribuire agli impegni presi dalla comunità internazionale contro la crisi climatica (limitare il riscaldamento globale entro 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali).

La proposta a cui si oppone Manchin sarebbe il più grande piano di spesa sul clima nella storia degli Stati Uniti: 555 miliardi di dollari per finanziare la transizione energetica dai combustibili fossili alle fonti energetiche rinnovabili; 320 miliardi in incentivi fiscali per le aziende che producono o comprano energia da elolico, solare e nucleare; crediti fiscali fino a 12.500 dollari per chi compra un’automobile elettrica; sei miliardi per migliorare l’efficienza energetica degli edifici e altri sei sostituire le vecchie caldaie a gas; decine di miliardi per ricerca e sviluppo di nuove tecnologie per catturare l’anidride carbonica. La versione approvata dalla camera espanderebbe i crediti fiscali esistenti per abbassare i costi delle famiglie per installare pannelli solari, pompe di calore geotermiche e piccole turbine eoliche.

Secondo le analisi del Rhodium Group, il piano di Biden (chiamato Build back better) permetterebbe agli Stati Uniti di fare metà di quello che serve per dimezzare le emissioni entro la fine di questo decennio. Senza un provvedimento di questa portata Biden potrebbe usare i suoi poteri presidenziali (in particolare ordini esecutivi e regolamentazioni) per ridurre le emissioni in alcuni settori, ma l’impatto sarebbe quasi insignificante rispetto alle urgenze.

Infanzia e inflazione
Si è capito da subito che convincere Manchin sarebbe stato difficile. Il senatore rappresenta la West Virginia, uno stato storicamente legato alla produzione di carbone dove l’idea di una transizione energetica non è per niente popolare. Da quando è al senato si è opposto a qualsiasi piano per ridurre l’uso dei combustibili fossili. Qualcuno ha fatto notare che le sue posizioni politiche potrebbero essere influenzate da interessi personali: nel 2020 la sua società di intermediazione per la vendita di carbone gli ha fatto guadagnare mezzo milione di dollari. Inoltre, spiegava un articolo del New York Times pubblicato da Internazionale qualche settimana fa, la West Virginia è uno degli stati più esposti ai rischi del riscaldamento globale.

Per vincere le sue resistenze la Casa Bianca le ha provate tutte. Ha ridotto di molto la spesa totale prevista dal provvedimento (che all’inizio era di circa 3.500 miliardi). Ha eliminato dal testo il Clean electricity performance program, una misura che avrebbe spinto i fornitori di corrente elettrica ad abbandonare i combustibili fossili privilegiando l’energia solare, eolica o nucleare. Ha proposto d’introdurre una tassa sulle emissioni, ma Manchin ha detto ancora no.

A Manchin non piacciono nemmeno alcune delle altre misure contenute nel provvedimento, in particolare quelle pensate per estendere la rete di protezione sociale e il welfare statunitense a quello di altri paesi occidentali. A quanto pare nelle ultime settimane il senatore avrebbe espresso in privato la preoccupazione che le famiglie potrebbero usare i soldi stanziati per l’assistenza all’infanzia – una misura fondamentale del disegno di legge – per comprare droghe. E che molti americani, soprattutto in West Virginia approfitterebbero dei congedi retribuiti per andare a caccia.

A queste preoccupazioni nelle ultime settimane si sono aggiunge quelle che riguardano l’instabilità del ciclo economico. Secondo Manchin, il provvedimento non solo farebbe crescere ulteriormente il debito pubblico ma farebbe aumentare ulteriormente l’inflazione, una tendenza che già oggi preoccupa gli economisti ed è usata dai repubblicani per attaccare le politiche economiche dell’amministrazione Biden. La maggior parte degli esperti crede che i timori di Manchin siano infondati, perché il provvedimento Build back better non è uno stimolo economico e non mette nelle tasche dei cittadini abbastanza soldi per far alzare ulteriormente i prezzi. Nelle prossime settimane Biden proverà a rassicurare Manchin sull’inflazione e gli offrirà ulteriori concessioni per convincerlo a votare con il resto della maggioranza.

Il dibattito infinito su questo provvedimento sta già danneggiando i democratici e l’amministrazione Biden, perché porta alla luce tutte le divisioni tra l’ala moderata e quella più progressista. Se alla fine non si dovesse arrivare a un accordo, il partito arriverebbe indebolito alle elezioni di metà mandato, facendo aumentare le possibilità che i repubblicani prendano il controllo di almeno uno dei due rami del congresso. E gli Stati Uniti perderebbero un’occasione forse irripetibile per fare qualcosa di importante contro la crisi climatica.

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