Un clima congelato
La sede del National center for atmospheric research (Ncar) a Boulder, in Colorado, è un incastro di cubi rosa. Progettata da un architetto modernista di origini cinesi e ispirata agli antichi villaggi anasazi, era stata aperta nel 1960 per dare a chi studiava l’atmosfera risorse all’avanguardia – come i supercomputer – che le singole università non potevano permettersi. Con il tempo è diventata un punto di riferimento: dietro a molte delle scoperte che hanno ampliato la comprensione umana del meteo e del clima c’è l’Ncar.
Negli anni settanta, per esempio, due suoi ricercatori, Roland Madden e Paul Julian, individuarono una “pulsazione” di nubi e piogge che si muove lungo l’Equatore compiendo un ciclo in trenta, novanta giorni: il fenomeno, oggi conosciuto come oscillazione di Madden–Julian, ha rivoluzionato le previsioni meteo, permettendo stime con settimane o mesi di anticipo. Altri scienziati hanno sviluppato le dropsonde gps, strumenti lanciati da aerei o droni per determinare l’intensità, il centro e le traiettorie delle tempeste.
Spesso ci sono state applicazioni inattese: gli studi sulle correnti discendenti negli strati bassi dell’atmosfera hanno ispirato i sistemi di rilevamento del wind shear (un cambiamento improvviso e violento della velocità o della direzione del vento) negli aeroporti, evitando centinaia di incidenti aerei.
In pratica chiunque si occupi di clima e meteo ha lavorato al o con l’Ncar, dice Katharine Hayhoe, della Texas tech university, citata dal New York Times. “Sostiene gli scienziati che volano dentro gli uragani, quelli che sviluppano nuove tecnologie radar, che progettano schemi meteorologici e, sì, il più grande modello climatico comunitario del mondo”.
Evidentemente questo non basta, o è troppo. Il 17 dicembre, in un post su X, Russell Vought, il direttore dell’ufficio della Casa Bianca per la gestione e il bilancio (Omb), ha definito l’Ncar “una delle maggiori fonti di allarmismo climatico del paese” e ha annunciato che il governo lo avrebbe “smantellato”, aggiungendo che “tutte le attività vitali”, come la ricerca meteorologica, sarebbero state trasferite a un altro ente.
L’istituto del Colorado conta più di ottocento dipendenti ed è gestito dalla University corporation for atmospheric research, una rete non profit che riunisce più di cento atenei, ma la stragrande maggioranza dei finanziamenti proviene da Washington, anche attraverso centinaia di milioni di dollari in sovvenzioni della National science foundation (Nsf).
Più competizione, meno tempo per la ricerca
L’Nsf è il secondo ente pubblico per finanziamenti alla ricerca universitaria negli Stati Uniti; il primo sono i National institutes of health (Nih). Negli ultimi mesi si è parlato molto di queste due agenzie, e non per festeggiare l’ennesimo traguardo raggiunto dalla scienza.
Con un bilancio di 48 miliardi di dollari (44,4 miliardi di euro), gli Nih sono il più grande ente pubblico che finanzia la scienza biomedica non solo degli Stati Uniti, ma del mondo. Distribuiscono fondi tra i centri di ricerca, oltre a portare avanti progetti nei propri laboratori. Più di trentamila scienziati dipendono da loro per occuparsi di invecchiamento, diabete, ictus, cancro o salute mentale.
Nell’ultimo decennio gli Nih hanno assegnato ogni anno circa 9 miliardi di dollari. Ma nel 2025 il meccanismo si è inceppato.
A gennaio l’amministrazione Trump ha cominciato a rallentare la revisione dei progetti, ha cancellato le iniziative “dei” (acronimo di diversity, equity e inclusion) e ha licenziato migliaia di persone o le ha spinte alla pensione anticipata. Gli Nih hanno perso quasi tremila dipendenti, circa il 14 per cento del totale.
A luglio l’erogazione dei fondi era indietro di oltre 2 miliardi di dollari, il 41 per cento sotto la media. Nei mesi successivi l’agenzia ha cercato di recuperare stanziando risorse a un ritmo frenetico, ma per meno ricerche.
Per non perdere le sovvenzioni disponibili, ha anche cambiato il modo di attribuirle. Prima le spalmava su cinque anni, e le università potevano chiedere di avere due anni in più per usarle (arrivando quindi a sette anni totali); ora invece le assegna tutte subito, pagando anni di ricerca in anticipo, concedendo un solo anno di proroga agli atenei. Così il finanziamento medio è passato da 472mila dollari nella prima metà dell’anno fiscale (da ottobre 2024 a marzo 2025) a oltre 830mila dollari negli ultimi due mesi (agosto e settembre 2025). Può sembrare un vantaggio per i ricercatori, ma in realtà comporta più competizione, meno varietà e meno tempo per fare ricerca.
La nuova linea è stata dettata dall’Omb, l’ufficio che vuole smantellare l’Ncar. La Casa Bianca l’ha difesa spiegando che darà più flessibilità agli Nih. Ha anche proposto di ridurre il bilancio dell’ente di 18 miliardi di dollari, quasi il 40 per cento (l’ipotesi è stata per ora bocciata dal congresso).
Qualcosa di simile è successo all’Nsf. Anche qui si sono accumulati ritardi e alla fine dell’anno è stato finanziato il 25 per cento di nuovi progetti in meno rispetto agli anni scorsi. L’istituto ha perso circa un terzo del personale e, davanti alla minaccia di tagli per 5 miliardi di dollari (su un bilancio di 9 miliardi), ha adottato la stessa strategia degli Nih, cioè ha pagato in anticipo molte ricerche.
Questo testo è tratto dalla newsletter Doposcuola.
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