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Il governo italiano taglia l’assistenza alle prostitute vittime di tratta

Una prostituta in un vicolo del centro di Genova, 2013. (Cosmos/Luzphoto)

In cinque regioni italiane dal 1 settembre non saranno più disponibili i servizi contro la tratta di esseri umani: le ragazze che vorranno sottrarsi alla rete criminale che le obbliga a prostituirsi in alcune aree dell’Italia come la Sardegna, la Basilicata, il Piemonte, la Valle d’Aosta, la Liguria e in alcune zone della Sicilia, non potranno più rivolgersi ai servizi di assistenza, presenti da anni sul territorio.

Il 4 agosto, infatti, il dipartimento per le pari opportunità della presidenza del consiglio ha pubblicato la lista delle associazioni e delle regioni che beneficeranno dei quasi 13 milioni di euro destinati ai servizi contro la tratta a partire da settembre (e per i prossimi 15 mesi), e da questa graduatoria ha escluso delle aree chiave per il contrasto a questa attività, come alcune zone della Sicilia. Eppure nei porti siciliani arrivano ogni anno migliaia di ragazze nigeriane originarie di Benin City e dello stato di Edo, vittime di trafficanti che le costringono a prostituirsi per ripagare il debito contratto prima di partire, che in molti casi supera i trentamila euro.

Alla base della decisione del dipartimento per le pari opportunità di escludere alcune associazioni e regioni dai finanziamenti ci sono motivi diversi. Nel caso della Sicilia alcune associazioni sono state escluse perché i fondi sono stati assegnati fino al loro esaurimento in ordine di posizionamento nella graduatoria. Mentre nel caso del Piemonte c’è stato un errore tecnico nella compilazione del bando da parte della regione; in altri casi, come per la regione Liguria, si è trattato di un ritardo nella presentazione della domanda di finanziamento.

Una risposta nazionale

Le organizzazioni che si occupano dei diritti di migranti e rifugiati in Italia come l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) hanno espresso preoccupazione per l’esito del bando. “In alcune regioni non sarà possibile garantire la continuità di un servizio che in alcuni casi è in piedi da anni”, commenta Salvatore Fachile dell’Asgi.

“Nel momento in cui è stato approvato un Piano nazionale antitratta è stata riconosciuta la necessità di affrontare la questione da un punto di vista nazionale e non locale”, argomenta Fachile che sostiene la necessità di superare il sistema dei bandi annuali, a favore di un piano nazionale di assegnazione dei fondi che ricalchi il modello dell’assistenza ai richiedenti asilo e rifugiati del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar).

“Siamo preoccupati dal fatto che dopo tanti anni, quasi venti, non si sia trovato un modo di mettere a regime le azioni delle associazioni contro la tratta e che si dipenda ancora dai bandi”, conclude Fachile, che annuncia una lettera dell’Asgi indirizzata alla ministra delle pari opportunità Maria Elena Boschi per chiedere al governo di trovare una soluzione che minimizzi le conseguenze dei tagli ai fondi per i servizi antitratta in alcune regioni italiane.

“Il rischio di una ricaduta pesante sul contrasto al crimine e sulla protezione delle vittime, nonché su una loro adeguata assistenza, è dunque altissimo tenuto conto anche del fatto che uno dei maggiori limiti del sistema recentemente emerso è la scarsità dei posti disponibili nelle strutture di accoglienza”, è scritto nella lettera spedita alla ministra.

Come pacchi

Il timore delle associazioni è soprattutto quello di dover chiudere la porta in faccia a persone che si trovano in una condizione di estrema vulnerabilità. “Non è ammissibile che alcune zone, praticamente tutto il nordovest del paese, rimangano senza assistenza per le vittime di tratta il prossimo anno”, afferma amareggiato Alberto Mossino del Progetto integrazione accoglienza migranti (Piam), un associazione attiva ad Asti dal 2000.

“Al momento in Piemonte assistiamo 110 ragazze vittime di tratta e ora dovremo dirgli che non potremo più seguirle e che dovranno spostarsi in altre regioni se vorranno continuare a essere aiutate. È assurdo: non sono pacchi”, spiega Mossino. Il Piemonte è una delle piazze più importanti per lo sfruttamento della prostituzione: un affare criminale da 90 milioni di euro al mese in tutto il paese. E ora le associazioni temono di rimanere senza strumenti per combattere questo fenomeno, in costante crescita in Italia a partire dagli anni ottanta.

I dati sullo sfruttamento delle ragazze immigrate per la prostituzione e sul legame tra quest’attività e la tratta di esseri umani sono allarmanti. L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) ha recentemente denunciato che l’80 per cento delle ragazze nigeriane arrivate in Italia via mare nel 2015, è caduto nelle mani della criminalità organizzata.

Prostitute in una strada di Catania, 2013.

Senza copertura

Dall’inizio del 2016 sono arrivate in Italia 3.600 ragazze nigeriane e più della metà di loro sono finite sulla strada, vittime di reti criminali che le costringono a prostituirsi. Ma il fenomeno riguarda anche ragazze provenienti dai paesi dell’est europeo come la Romania. E sempre più spesso a cadere vittima di trafficanti e sfruttatori sono ragazze minorenni, come ha denunciato un rapporto dell’ong Save the children, pubblicato a fine luglio.

“Penso al caso di due ragazze nigeriane che sono scappate dai loro sfruttatori intorno alla metà del 2015 e si sono rivolte a noi, e ora al termine di un lungo percorso umano e legale, hanno trovato un lavoro e si sono ricostruite una vita. Come facciamo a dirgli che non possiamo più assisterle? Giorni fa ci ha chiamato la polizia che voleva affidarci il caso di una ragazza che era scappata dai suoi sfruttatori e aveva fermato una volante, ma gli abbiamo dovuto dire che per il momento non abbiamo la possibilità di farci carico di questa ragazza”, continua Mossino.

Zone chiave per l’arrivo dei migranti come Catania, Messina, Palermo e addirittura il Cara di Mineo rimarranno senza servizi antitratta

In Italia, paese di approdo per molte ragazze, è attivo dal 2000 un programma di assistenza e protezione delle vittime di tratta, che dalla fine degli anni novanta sono state più di 60mila, secondo alcune stime del governo. Il programma prevede che le ragazze costrette a prostituirsi siano aiutate a sottrarsi alle minacce dei loro sfruttatori, che siano accolte in case rifugio e che siano assistite da professionisti nel processo legale e psicologico che devono intraprendere per sottrarsi al regime di semischiavitù in cui si trovano.

“Si tratta di un servizio altamente specializzato che si avvale della professionalità di avvocati, psicologi, mediatori. Un servizio messo in piedi in anni di lavoro”, spiega Mossino. Le sue preoccupazioni sono condivise anche da Concetta Restuccia dell’associazione Penelope, che si occupa dell’assistenza alle vittime di tratta nella provincia di Messina e di Catania da 15 anni. In Sicilia l’unica area che è rimasta coperta dal bando è la provincia di Ragusa, ma zone chiave per l’arrivo dei migranti come Catania (anche il Cara di Mineo), Messina, Palermo rimarranno senza servizi.

“Al momento la nostra associazione assiste venti vittime di tratta, molte di loro sono minorenni e quindi non potremo spostarle, seguendo le indicazioni del governo. Come facciamo a spostare un minorenne che va a scuola o in altri casi è affidato in famiglia?”, chiede Restuccia. “Da queste parti sono anni che facciamo i conti con l’emergenza degli sbarchi e la logica di chi dovrebbe aiutarci a uscire dall’emergenza continua a essere inadeguata. Ma in questo modo non si assicura una risposta seria al problema delle persone sfruttate dai trafficanti. Non è possibile che intere aree della Sicilia, la regione che in Italia è più interessata dagli arrivi di migranti, rimangano senza il servizio antitratta. Siamo stati già contattati dalle unità di strada e dalle commissioni territoriali, ma abbiamo dovuto segnalare che ci troviamo in una situazione di grave difficoltà a causa di questa decisione del governo”, conclude Restuccia.

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