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Genitori e figli di fronte alla pandemia

Milano, 15 marzo 2020. (Mirko Cecchi)

La sera del 12 marzo Wilma Sangalang Naguit, 46 anni, stava rientrando a casa dal lavoro. Aspettava la metropolitana poco distante dalla stazione centrale di Milano. Indossava la mascherina per proteggersi da un possibile contagio di Covid-19 e un uomo le si è avvicinato per chiederle l’elemosina. Sangalang Naguit gli ha chiesto gentilmente di mantenere le distanze e l’uomo le ha sputato addosso. “Non mi ha colpita ma mi sono spaventata tantissimo”, ricorda la donna, “non c’era nessun altro, mi veniva da piangere. Tornata a casa mi sono tolta i vestiti e ho fatto una doccia”. Sangalang Naguit lavora come colf per una famiglia milanese, ma dopo questa brutta esperienza ha preso dei giorni di ferie e ha deciso di non uscire più di casa. Lo stesso ha fatto suo marito Benedict, che lavora in un laboratorio di pasticceria.

Wilma e Benedict hanno due figli, un ragazzo di 18 anni e un bambino di quasi quattro. Quando la regione Lombardia ha chiuso le scuole, il 24 febbraio, il piccolo è rimasto a casa con il grande mentre i genitori erano al lavoro. Ma dall’11 marzo il livello di allarme si è alzato, bar e ristoranti sono stati chiusi, e alle persone è stato fortemente consigliato di rimanere in casa, limitando il più possibile gli spostamenti. “Non andiamo nemmeno più in cortile”, dice Wilma Sangalang Naguit, “viviamo all’ottavo piano e non possiamo sapere chi ha preso l’ascensore prima di noi”.

La donna è anche preoccupata per sua sorella Irene, che lavora nella casa di un’oculista, dove si prende cura delle figlie e della madre della donna. “Lei continua ad andare a lavorare e porta con sé sua figlia di tre anni, dice che non può permettersi di perdere il lavoro, ma io le rispondo che i soldi non servono se si ammalano lei o la sua bambina”.

Questioni di genere
Dopo la Cina, l’Italia è il paese con più casi accertati di Covid-19. Secondo i dati aggiornati alle 18 del 18 marzo, i casi positivi sono 28.710, le persone decedute 2.978 e quelle guarite 4.025. Anche se i casi di bambini contagiati sono pochissimi, la gestione dei figli rappresenta una delle preoccupazioni collaterali più serie per moltissime famiglie italiane.

Il ricorso al telelavoro, tanto elogiato dalle aziende, è difficile per chi è a casa e si deve anche occupare dei bambini. Monica Postiglione, 40 anni, coordinatrice della Turin school of regulation – fondazione che si occupa di politiche ambientali – vive a Torino con le due figlie. Maia ha quasi dieci anni e Lea cinque. L’ex compagno della donna abita poco distante: “Avere due case per le bambine è un bene perché hanno più libertà di movimento. La grande per ora non segue nessuna lezione online ma l’altro giorno ha fatto la sua prima ora di ginnastica, per la piccola invece la scuola non ha pensato a nulla. Abbiamo provato a fare una videomerenda con i suoi compagni su Zoom ma è stato un disastro, tra chi piangeva, chi urlava e chi si vergognava”.

L’ex compagno di Postiglione insegna storia all’università e da quando le lezioni sono state sospese lavora più di prima: “Deve preparare le lezioni a distanza, registrarle, caricarle su un programma. Invece che due ore gliene servono sei e a me viene naturale dirgli di non preoccuparsi, con le bambine ci posso stare di più io. Anche se, come lui, avrei del lavoro da fare da casa. Il virus non ha potuto nulla contro le questioni di genere irrisolte”.

Per molte famiglie italiane la gestione dei figli è una delle questioni più preoccupanti

Samantha Di Candia, 43 anni – madre di Andrea, tre anni, e di Giulia, sette anni – è dirigente di un’azienda farmaceutica. Anche lei dovrebbe lavorare da casa, otto ore, come in ufficio, ma è praticamente impossibile: “Mio marito va ancora a lavorare ogni mattina, devo seguire i compiti di mia figlia e mandarli agli insegnanti, cucinare due volte al giorno e rispondere continuamente alle email, ma non riesco a tenere il passo con tutto, lavoro anche di notte, sono sfinita”.

In difficoltà si trovano anche migliaia di insegnanti, costretti a organizzare da casa le lezioni, destreggiandosi tra piattaforme più o meno efficienti. Francesca dalla Nora, 42 anni, insegna italiano, storia e geografia in una scuola media di Milano. “Tra gli insegnanti c’è stata una sorta di maratona all’autoformazione digitale”, spiega, “ma è difficilissimo seguire i ragazzi a distanza. Nella mia classe quando va bene si collegano in dieci su venti, alcuni sono completamente scomparsi”. Dalla Nora è convinta che per quest’anno scolastico le scuole non riapriranno: “Gli esami probabilmente slitteranno a settembre e ci sarà una sorta di amnistia, con un esame orale molto semplificato, sul modello di Amatrice”.

“Giancarlo ha 17 anni, frequenta un istituto superiore con indirizzo chimico e la cosa che più mi dispiace è che perderà uno stage in un’importante farmacia”, racconta la madre, Patrizia Pasini, 40 anni, residente in un comune della provincia di Modena. Le lezioni per lui e per la sorella di sedici anni continuano online, ma entrambi pensano che adesso è più facile distrarsi e si sta in pigiama tutto il giorno.

I più anziani
In un paese che dalla seconda guerra mondiale in poi non ha mai vissuto esperienze simili, le famiglie sono costrette a chiudersi in sé stesse e molti genitori non possono fare affidamento nemmeno sui nonni, che in circostanze normali sono ancore di salvezza nella cura dei bambini. In quest’emergenza gli anziani sono tra le categorie più a rischio e molti di loro, con il passare dei giorni, si sono autoisolati, mantenendo le distanze raccomandate anche dagli stessi nipoti, spesso vettori asintomatici del virus.

“Io e tuo papà usciamo con le mascherine FPP2 che lui aveva comprato per dipingere i suoi modellini e usiamo i guanti usa e getta”, mi dice mia madre al telefono. Ha 69 anni. Mio padre, che ne ha 73, l’anno scorso ha avuto la polmonite e ora è molto preoccupato per il virus. Hanno ridotto gli spostamenti sempre di più nelle ultime settimane, rinunciando anche al breve giro che facevano nel grande parco dietro casa, a Milano.

Ora vanno solo al supermercato, lontano poche centinaia di metri. Uno per volta, attendono pazientemente il loro turno fuori, mantengono le distanze dagli altri all’interno, pagano alle casse automatiche e tornano a casa. Anche se viviamo nella stessa città, non vedono loro nipote – mia figlia Tina, di tre anni e mezzo – da ormai due settimane e le mandano ogni sera un breve video raccontandole una storia.

Sui social network si trovano liste infinite di passatempi da fare a casa con i bambini, online ci sono riviste da scaricare ed mp3 da ascoltare, ma la verità è che tenere in cattività i figli, e sé stessi, è uno degli aspetti più complessi e frustranti da affrontare per un genitore in questo periodo di emergenza.

Marta Sebben, 42 anni, psicomotricista dell’età evolutiva, spiega che la cosa importante è osservare la spontaneità dei bambini e che attività adatte a una fascia di età generano in altre solo disinteresse. È meglio quindi proporre attività mirate, evitando però la pianificazione a tavolino. “Le spiegazioni complesse servono a poco, è bene però raccontare quello che sta succedendo, partendo dalla loro semplice esperienza: se ti sbucci il ginocchio all’inizio fa male, poi guarisce. Arriva sempre il momento della riparazione”.

Pietro, il figlio più grande di Valentina Errico, chirurga di quarant’anni, è stato uno dei primi della sua classe a capire quello che stava succedendo intorno a lui e ha postato un video sulla piattaforma online della sua scuola elementare, invitando i compagni a stare a casa. Ha anche spiegato al fratello più piccolo come lavarsi le mani. “Cerco di non fargli percepire troppa ansia, nonostante quello che vedo tutti i giorni in ospedale”, racconta Errico. “Ma allo stesso tempo gli spiego che la situazione è seria. Io credo che per noi genitori questo sia un bel momento educativo. I nostri figli stanno perdendo la scuola, ma stanno imparando sulla loro pelle cosa vuol dire sacrificarsi per il bene comune”.

Gli anziani sono tra le categorie più a rischio e molti di loro, con il passare dei giorni, si sono autoisolati

“In questa situazione ci ritroviamo a ricoprire il doppio ruolo di compagni di gioco e di genitori che devono far rispettare le regole. I primi giorni di emergenza, quando portavo giù in cortile i bambini, mi sembrava di tirarli fuori dalla cella per l’ora d’aria”, ammette Paolo Rossi, 44, professore di sociologia a Milano, che poco prima della nostra intervista telefonica stava giocando a tombola con i figli, collegato via Skype con i nonni a Monzambano (Mantova) e le cugine a Padova. “Stiamo partecipando a un grande esperimento sociale”, dice. “Vedremo che scombussolamenti provocherà questo periodo di reclusione forzata alle relazioni familiari, e una volta finita l’emergenza vedremo quanto ci vorrà per recuperare i normali rapporti, a tornare a baciarci, ad abbracciarci”.

“In un primo tempo noi genitori ci siamo preoccupati principalmente degli aspetti pratici dell’emergenza, tralasciando i risvolti emotivi che avrebbe avuto sui nostri figli”, riflette Maria Aliprandi, 39 anni, psicologa di Milano. “Adesso però la nostra percezione del rischio si è alzata, le persone che vengono colpite sono sempre più vicine, e anche se non temiamo per l’incolumità diretta dei nostri bambini iniziamo a porci il problema del ‘dopo di noi’, ci chiediamo cosa potrebbe accadere a loro se il virus ci colpisse”.

L’epidemia sta senza dubbio destabilizzando molti aspetti della vita sociale del nostro paese. Se da un lato le persone sembrano cercare un senso di comunità, per esempio affacciandosi al balcone a ore stabilite per cantare l’inno nazionale, dall’altro porta necessariamente a chiudersi, a guardare l’altro con sospetto perché chiunque potrebbe essere portatore del virus e trasmetterlo. L’unico modo per sconfiggerlo sembra essere barricarsi in casa, lasciare il mondo fuori. Ma da madre non posso non chiedermi per quanto tempo l’angoscia e la paura mi autorizzeranno a privare mia figlia della libertà di andare al parco, di giocare con altri bambini, di esplorare, anche assumendosi dei rischi, quel mondo che, da sempre, porta con sé infiniti orrori e infinite meraviglie.

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