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Il verde che fa male

Groenlandia orientale, agosto 2023. (Olivier Morin, Afp)

Secondo le saghe nordiche Eric il Rosso battezzò la Groenlandia “terra verde”, nonostante fosse quasi interamente coperta dai ghiacci, nella speranza che un nome invitante avrebbe favorito la colonizzazione dell’isola. Ma con l’accelerazione del cambiamento climatico, che nell’Artico procede due volte più velocemente rispetto alla media globale, la bugia del navigatore vichingo si sta rapidamente trasformando in realtà.

Basandosi sulle immagini satellitari, uno studio pubblicato su Scientific Reports ha concluso che nell’arco di trent’anni i ghiacci dell’isola si sono ritirati di 28.700 chilometri, l’1,6 per cento della superficie totale. Allo stesso tempo la superficie coperta di vegetazione è più che raddoppiata, aumentando di 87.400 chilometri quadrati, soprattutto a sudovest e in alcune zone del nordest. L’area lasciata libera dai ghiacci è stata rimpiazzata anche da laghi e altre aree umide, la cui estensione è quasi quadruplicata.

Questa trasformazione contribuisce ad alimentare il cambiamento climatico, innescando un ciclo di retroazione. La tundra e la nuda roccia sono più scure del ghiaccio, quindi riflettono meno luce solare verso lo spazio e assorbono più calore. Lo scioglimento del permafrost e l’espansione delle aree umide comportano l’aumento delle emissioni di metano, un gas serra molto più potente dell’anidride carbonica nel breve periodo. Inoltre l’alterazione del flusso di sedimenti e sostanze nutrienti verso le acque costiere ha un impatto considerevole sugli ecosistemi marini.

Lo scioglimento dei ghiacci della Groenlandia sta anche avvicinando la Terra a un punto di svolta dalle conseguenze potenzialmente disastrose. L’afflusso di quantità sempre maggiori di acqua dolce sta infatti modificando la salinità dell’oceano, contribuendo a rallentare il capovolgimento meridionale della circolazione atlantica (Amoc), un sistema di correnti cruciale per la stabilità del clima globale.

L’intensità dell’Amoc si è ridotta del 15 per cento dal 1950, e la possibilità che si arresti del tutto è una delle principali preoccupazioni dei climatologi. Secondo l’Ipcc le probabilità che ciò avvenga già in questo secolo sono minime, ma la più complessa simulazione realizzata finora, i cui risultati sono stati recentemente pubblicati su Science Advances, avverte che il rischio è reale.

Gli autori avvertono che gli effetti di un simile evento, come il crollo delle temperature in Europa e il collasso della foresta amazzonica, sarebbero così rapidi e intensi da rendere impossibile l’adattamento.

Questo testo è tratto dalla newsletter Pianeta.

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