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Il giornalismo d’inchiesta si affida al metodo scientifico

Altamira, stato brasiliano di Parà, 28 agosto 2019. Un’area deforestata a causa delle attività minerarie nel bacino amazzonico. (Joao Laet, Afp)

Oggi si usano sempre di più gli strumenti del giornalismo scientifico e dell’indagine scientifica per scrivere articoli e reportage, ma anche per fare luce su scoperte scientifiche discutibili. Le immagini satellitari e il data mining (ovvero la pratica di passare al setaccio le banche dati in cerca di informazioni) sono usati sempre più spesso e, in quest’epoca segnata dalla pandemia di covid-19 e dall’impatto crescente del cambiamento climatico, questo approccio si è mostrato particolarmente promettente nel portare alla luce notizie legate alla salute e all’ambiente.

Secondo Deborah Blum, direttrice del Knight science journalism program al Massachusetts institute of technology di Boston, i giornalisti possono usare questi strumenti e la loro capacità di individuare dei pattern (cioè degli schemi e dei modelli) partendo dai dati grezzi per arrivare a conclusioni innovative anche su altri argomenti.

“Sono tanti i giornalisti che ricorrono al data mining, che ormai è una parte abituale del buon giornalismo d’inchiesta”, dice Blum. “Internet offre moltissime risorse in questo senso. Quando conduco una ricerca su un particolare composto chimico, per esempio, uso PubMed e Google scholar per vagliare i dati e controllare l’attendibilità delle fonti”.

In effetti online esistono svariati database e altre risorse utili per il giornalismo scientifico d’inchiesta. PubMed è un motore di ricerca gratuito con oltre 33 milioni di citazioni e sintesi di pubblicazioni biomediche. Altri, per citarne solo alcuni, sono il Toxics release inventory, gestito dalla Environmental protection agency, l’agenzia statunitense per la protezione ambientale; il Toxic docs, che fa capo alla Columbia university e al City college di New York; l’Industry documents dell’università della California a San Francisco, che contiene memo e rapporti aziendali interni o mai resi pubblici; e il Safety gate, il sistema di allerta rapido dell’Unione europea sui prodotti pericolosi non alimentari.

Nuovi strumenti e nuove tecniche
Dal canto suo, il brasiliano Gustavo Faleiros, fondatore di InfoAmazonia, un sito regionale di notizie sull’ambiente, è un grande sostenitore dell’uso di immagini satellitari e di altre tecniche di telerilevamento come supporto per il geogiornalismo. “La necessità di comprendere l’ambiente”, dice, “ha spinto i giornalisti a usare le scienze della terra, l’analisi geospaziale e tutte le informazioni che riceviamo dai satelliti e dai sensori remoti, insieme alla rappresentazione grafica dei dati e agli strumenti di mappatura interattiva, per spiegare i rapidi cambiamenti a cui stiamo assistendo”.

Questi reporter di avanguardia potrebbero citare tantissimi esempi di storie portate alla luce grazie alle tecnologie applicate al giornalismo d’inchiesta. Faleiros ricorda che nel 2021 InfoAmazonia ha pubblicato una serie di articoli in collaborazione con un network di reporter sparsi in tutta l’America e con l’Earth journalism network di Internews (un’organizzazione senza fini di lucro che si occupa della formazione di giornalisti e attivisti in tutto il mondo e di cui sono direttore esecutivo) su come l’inquinamento del bacino amazzonico provocato dalle attività minerarie illegali abbia causato una proliferazione enorme di sargasso e la conseguente inondazione delle coste caraibiche di banchi marcescenti di macroalghe.

Sia Google sia Bing, il motore di ricerca della Microsoft, avevano sfocato le aree dei campi di detenzione degli uiguri sulle loro mappe pubbliche

“Era fondamentale reperire delle immagini satellitari ad alta risoluzione”, spiega Faleiros, “sia per documentare la fioritura di alghe più lunga mai vista, sia per dimostrare che l’estrazione mineraria nella regione brasiliana di Tapajos era una fonte di inquinamento. Siamo riusciti a farlo grazie alla partnership con EarthRise Media”, un’agenzia digitale che supporta il giornalismo ambientale mettendo a disposizione strumenti ad alta tecnologia.

Queste risorse, però, non sono utilizzate solo per inchieste su tematiche scientifiche, sottolinea Faleiros. Gli articoli sulla reclusione dei musulmani uiguri in campi di detenzione nella provincia cinese dello Xinjiang con cui BuzzFeed News ha vinto il premio Pulitzer nel 2021 si basano sull’analisi di immagini satellitari e modelli architettonici 3D. Sia Google sia Bing, il motore di ricerca della Microsoft, avevano sfocato quelle aree sulle loro mappe pubbliche, così BuzzFeed è ricorsa a Planet, un’azienda che fornisce immagini satellitari dettagliate, per mostrare che i campi di detenzione erano più estesi di quanto il governo cinese avesse dichiarato. “Gli scienziati non si azzarderebbero a fare ricerche di questo tipo”, aggiunge il giornalista brasiliano.

Faleiros, che oggi lavora per il Rainforest investigations network del Pulitzer center, collabora anche con Planet e con la società norvegese Ksat e insegna agli aspiranti giornalisti come ricavare i dati per misurare i cambiamenti nella vegetazione attraverso l’analisi avanzata delle immagini e i filtri spettroscopici. Intanto, l’Earth Journalism Network sta formando i giornalisti nella regione del Mekong – che comprende Cambogia, Laos, Myanmar, Thailandia e Vietnam – sull’uso del data journalism per migliorare la copertura delle tematiche ambientali, e ha appena pubblicato una lista di siti e database utili per chi deve condurre ricerche su clima e ambiente. Altre organizzazioni con informazioni e dati da condividere sono la Society of environmental journalists, l’Association of health care journalists, l’Health journalism network, la Investigative reporters and editors, la World federation of science journalists con le sue varie sedi nazionali e poi, naturalmente, il Global investigative journalism network.

Esperimenti non pianificati
Deborah Blum ha usato le tecniche del giornalismo scientifico per scovare delle notizie importanti, come nel suo pezzo per Undark Magazine sui rischi delle bevande a base di soia in polvere. “Stavo passando in rassegna alcune riviste scientifiche, e mi sono imbattuta in un paio di articoli sui preparati liquidi a base di soia in polvere e le loro conseguenze sul sistema endocrino dei neonati. Grazie alle mie ricerche sul numero di estrogeni presenti nelle bevande di soia, ho capito che si tratta di un grosso esperimento sugli esseri umani. La polvere a base di soia ha undicimila componenti, e nessuno ha testato le ripercussioni che potrebbe avere sui neonati”, spiega. “Parlando con un funzionario federale, gli ho chiesto conferma a bruciapelo e lui ha convenuto che di fatto stiamo conducendo un esperimento non pianificato sulla salute dei bambini”.

La pandemia offre anche un ottimo esempio di come si stia evolvendo il giornalismo d’inchiesta

Liza Gross, reporter di Inside Climate News che ha lavorato come giornalista scientifica per Plos Biology concentrandosi sul cambiamento climatico e sull’agricoltura californiana, offre un altro esempio di giornalismo d’inchiesta supportato dal metodo scientifico: “La gente credeva che la maggior parte dei pesticidi tossici fosse usato nell’area della città di Fresno”, spiega, “ma grazie ai dati ottenuti da un gruppo di ricercatori e da un esperto di sistemi informativi geografici (Gis) ho scoperto dove erano effettivamente usati”, e che quantitativi pericolosi erano stati sparsi nella contea di Ventura, che si trova nel cuore agricolo della California, e vicino a diverse scuole. “Consultando ricerche e dati possiamo trarre conclusioni a cui gli scienziati non sono ancora giunti”, conferma Gross.

Blum, Faleiros e Gross ritengono che la pandemia di sars-cov-2 abbia dato una grande spinta al giornalismo scientifico d’inchiesta, dato che i cronisti hanno dovuto cercare dati sui tassi di mortalità che molti governi non sono in grado di reperire o che tentano di nascondere. Un caso emblematico è il servizio dell’Economist sull’eccesso di mortalità durante la pandemia. In Brasile, aggiunge Faleiros, il quotidiano Folha sta lavorando insieme a O Globo per avere dati precisi proprio sulla mortalità, dal momento che le cifre diffuse dal governo non sono attendibili.

Durante la pandemia, inoltre, il giornalismo d’inchiesta ha dovuto fare dei passi avanti, andando a esplorare lo stesso mondo scientifico per verificarne l’attendibilità. Sia Blum sia Gross citano il dibattito sull’origine del covid-19 (il virus è nato in un laboratorio o è stato trasmesso dagli animali all’uomo in un mercato di Wuhan in Cina), che dimostra come i giornalisti debbano conservare il loro scetticismo anche quando, in prima battuta, gli scienziati e altri esperti affermano che la risposta è chiara. “I giornalisti che si stavano occupando della pandemia di covid probabilmente erano troppo vicini agli ambienti scientifici, che all’inizio non hanno dato credito alla teoria della fuga del virus da un laboratorio, finché David Relman, professore di microbiologia e immunologia alla Stanford university, ha dichiarato che avremmo dovuto fare ricerche e verifiche anche in questo senso”, dice Gross.

Scienziati sotto inchiesta
“Leon Lederman, Nobel per la fisica, ha ricordato che in passato tutti credevano alle affermazioni degli scienziati”, sottolinea Blum, “oggi invece sono sempre di più i giornalisti che mettono in discussione particolari scoperte, mentre gli scienziati a loro volta hanno da obiettare su quello che scrivono i giornali. Non dovremmo difendere la scienza a prescindere. Le nostre sono inchieste indipendenti, e dovremmo restare fedeli ai lettori”.

Blum cita diversi esempi di giornalisti che hanno indagato su determinate scoperte scientifiche e sulla condotta etica degli scienziati. Tra questi: Sam Kean, autore del recente libro The icepick surgeon. Murder, fraud, sabotage, piracy, and other dastardly deeds perpetrated in the name of science (Il chirurgo rompighiaccio. Omicidi, truffe, sabotaggi, pirateria e altri misfatti in nome della scienza); Azeen Ghorayshi, che ha più volte denunciato casi di molestie sessuali commesse da scienziati; e più indietro nel tempo l’indagine di John Crewdson su Robert Gallo, che rivendicò di aver scoperto il virus hiv. Un altro buon esempio è l’inchiesta di Rebecca Skloot sull’uso delle linee cellulari nella ricerca medica, che ha documentato nel suo libro La vita immortale di Henrietta Lacks.

Esistono delle risorse online che i giornalisti possono consultare quando indagano sulle scoperte scientifiche e sui ricercatori: Retraction watch di Ivan Oransky, per esempio, fornisce aggiornamenti su pubblicazioni accademiche che sono state ritirate, sulle motivazioni e sui soggetti recidivi; oppure le lezioni di Charles Seife, docente di giornalismo scientifico alla New York University. Gross ritiene inoltre che sia urgente e necessario monitorare da vicino l’attività di agenzie governative come la Food and drug administration e la Environmental protection agency negli Stati Uniti.

E ormai non sono solo i giornali tradizionali a muoversi in questa direzione, ma anche siti di news gestiti da organizzazioni non profit, come ProPublica, l’Earth journalism network, China Dialogue, Mongabay, Oxpeckers, InfoNile, l’Environmental reporting collective, e le fondazioni che li finanziano. “Stanno aumentando le realtà che investono nel giornalismo scientifico, in particolare a causa del covid e del cambiamento climatico”, dice Blum, e cita il Sharon Begley science reporting award, pari a 20mila dollari, assegnato dal Council for the advancement of science writing, un’organizzazione nata negli anni sessanta da un gruppo di giornalisti per migliorare l’informazione scientifica.

Esistono numerosi finanziatori che sovvenzionano articoli o inchieste sulla ricerca, aggiunge Gross. Tra gli altri, il Food and environment reporting network, il Fund for investigative journalism, Type investigations, il Sej fund for environmental journalism, il Fund for investigative reporting della rivista scientifica Science, e l’Alicia Patterson fellowship. In Europa, l’Arcadia fund ha anche contribuito all’istituzione del nuovo Earth investigations programme, che offre sostegno economico ai giornalisti in tutto il mondo.

Blum auspica che esperienze di questo genere in futuro aumentino, ed è convinta che i giornalisti – in quanto osservatori addestrati a riconoscere nei dati e negli eventi delle piste che altri potrebbero non cogliere – possano fornire un grande contributo quando si tratta di indagare su tematiche scientifiche. “Ma i reporter”, avverte, “devono conoscere la scienza e prestare la massima attenzione ai fatti”.
Anche per Faleiros è necessario che i giornalisti siano estremamente competenti. “In particolare quando si tratta di salute, ambiente e cambiamento climatico, in cui i fenomeni – come l’impatto della deforestazione in Amazzonia sulle piogge in Sudamerica o la proliferazione di alghe nell’Atlantico – diventano ogni giorno più complessi e globali”, osserva. “Ecco perché questa tipologia di giornalismo basato sul metodo scientifico è sempre più importante”.

(Traduzione di Davide Musso)

Questo articolo è uscito sul sito del Global Investigative Journalism Network.

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