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In Thailandia circolano troppe armi da fuoco

Un negozio di armi a Bangkok, 5 aprile 2023. (Nathalie Jamois, Sopa Images/LightRocket/Getty Images)

La sparatoria in un centro commerciale di Bangkok, in cui sono morte due persone e ne sono rimaste ferite cinque, ha riaperto il dibattito sulle armi in Thailandia. Il paese ha uno dei tassi di possesso di armi da fuoco e di omicidi con arma da fuoco più alti dell’Asia.

Quello di Bangkok è il terzo caso di questo tipo in pochi anni: nell’ottobre 2022 un uomo aveva fatto una strage in un asilo nido uccidendo 37 persone, per la maggior parte bambini. Due anni prima un soldato in un centro commerciale aveva sparato uccidendo 29 persone e ferendone 58. Episodi sporadici ma che quando succedono evidenziano un problema che va affrontato.

Dopo l’ultima sparatoria, il governo ha promesso di correre ai ripari modificando le leggi sul porto d’armi, troppo permissive. Ma il problema, dicono i critici, è che le regole, anche se deboli, non vengono applicate. Secondo Gunpolicy.org, che tiene traccia delle armi in circolazione nel mondo, in Thailandia su 7,2 milioni di armi da fuoco detenute da privati, solo sei milioni sono registrate.

C’è poi la questione della classificazione delle armi. Il ragazzo di quattordici anni che ha aperto il fuoco nel centro commerciale di Bangkok aveva modificato un’arma a salve acquistata senza bisogno di alcuna licenza. In quanto minorenne con problemi psichici, infatti, non aveva diritto al porto d’armi, che tra l’altro è a vita, e una volta ottenuto non c’è bisogno di rinnovarlo.

Un altro problema è la disponibilità di armi illegali online. I funzionari governativi e i poliziotti possono acquistare pistole e fucili senza limiti e a prezzo scontato. Sembra che molti ne comprino in grandi quantità per rivenderli sottobanco. Questo mercato nero è cresciuto molto con la guerra civile nella vicina Birmania, dove arrivano armi contrabbandate dalla Thailandia.

La sparatoria di Bangkok getta un’ombra su una delle mete turistiche più gettonate in Asia, e il governo tailandese non se lo può permettere. Il turismo, settore vitale per l’economia, rappresenta il 18 per cento del pil nazionale, e non si è ancora ripreso del tutto dalla battuta d’arresto della pandemia (si calcola che alla fine di quest’anno saranno arrivati 23 milioni di visitatori stranieri nel paese, dieci in meno rispetto al 2019).

Per accelerare il recupero, Bangkok ha da poco inaugurato un periodo di cinque mesi in cui i cittadini cinesi e kazachi possono visitare il paese senza un visto. Una delle due vittime del 29 settembre era proprio una turista cinese arrivata in Thailandia senza visto pochi giorni prima.

​Questo articolo è tratto dalla newsletter In Asia.

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