“Mi sono fatto lasciare in cinque minuti”
Due giorni nella vita di due persone innamorate. Il primo, quando tutto comincia, e l’ultimo, quando ci si lascia. A chi legge, la possibilità di immaginare cosa è successo in mezzo. In questa puntata: Gérard, 65 anni.
Il primo giorno
“Il sessantotto è passato da poco. Le ragazze hanno gonne molto corte, sono più libere e l’aids non è ancora arrivato. Si cambiano facilmente i fidanzati e le fidanzate. Nel mio liceo di Lione le classi scientifiche non sono miste, solo nella nuova sezione di arti plastiche ci sono ragazzi e ragazze. Tra loro c’è una bella bionda dagli occhi azzurrissimi.
Penso che il modo migliore per conoscerla è andare male in matematica e fisica, così da entrare l’anno successivo nella sezione di arti plastiche. In quarta liceo riesco nel mio intento e cambio sezione. Ma resto interdetto, dove sono finiti quegli occhi azzurri? Lei non c’è.
Per fortuna Thérèse arriva con un quarto d’ora di ritardo. Tutto il mio impegno non è stato inutile. Entra in classe con il fiatone e si siede nell’unico posto libero: accanto a me. Cominciamo a uscire insieme e approfittiamo della libertà dell’epoca: fumiamo in classe, ci scambiamo gesti teneri senza che i professori dicano nulla. A volte la mattina siamo tutti un po’ storditi a causa della serata del giorno precedente, durante la quale insegnanti e studenti hanno bevuto troppo tutti insieme al bar.
È tutto molto facile, lo shock petrolifero non è ancora arrivato, non ci preoccupiamo per il nostro futuro né per gli studi, le porte non sono difficili da aprire e da attraversare. All’ultimo anno Thérèse mi lascia. Non è la fine del mondo, solo la fine dell’anno scolastico. Béatrice, una studente di quarta, si è inserita nel gruppo di quelli dell’ultimo anno, anche lei ha dei begli occhi chiari. Il liceo è finito, i risultati della maturità sono arrivati. È il momento di festeggiare, di pensare solo a far festa. La bacio, è il rituale iniziatico del passaggio all’età adulta. La nostra relazione sarebbe potuta finire qui, con questo bel ricordo della fine dell’adolescenza.
Ma invece continua, perché durante le vacanze estive passiamo molto tempo insieme. A lei piace andare in barca, io preferisco la montagna, ma stiamo bene l’uno con l’altra. Parto con i miei amici con un pulmino comprato con i nostri primi stipendi per andare a scalare il monte Damavand, in Iran. Béatrice invece va a fare una vacanza in barca a vela in Corsica. Ma ci ritroviamo sempre”.
L’ultimo giorno
“Un messaggio sulla mia segreteria mi annuncia che sono stato scelto per essere il fotografo della prossima spedizione nazionale di alpinismo per l’Himalaya. È come una nazionale francese di alpinismo al servizio del prestigio del paese. Una strategia che fa ricorso a mezzi importanti – una sorta di remake sportivo della prima guerra mondiale, versione taxi della Marna. La spedizione è finanziata con i diritti d’autore del libro di Maurice Herzog (Annapurna. Il primo 8000, Corbaccio), insieme allo stato e agli sponsor privati per i quali bisogna riportare delle immagini pubblicitarie da lassù.
Il capo della spedizione calcola tutto, i fogli di carta igienica necessari per ognuno moltiplicati per il numero di persone e di giorni. E così via, per ogni cosa. Alla fine servono trenta tonnellate di materiale. Sapendo che ogni portatore può portare al massimo 25 chili, avremo bisogno di 1.400 portatori per raggiungere il campo base all’inizio dell’estate. L’obiettivo è la cresta sudovest del K2, una parete mai scalata, 3.500 metri. È considerata la più grande difficoltà himalayana. Béatrice è fiera di me, mi incoraggia: ‘È bellissimo, è il trampolino di lancio per la tua carriera professionale!’. Nel frattempo le capita una grande fortuna: dopo aver terminato i suoi studi di arte riceve una ricca eredità da una madrina svizzera spuntata dal nulla. Non l’ha quasi mai vista. I soldi arrivano e ha meno bisogno di lavorare.
Passiamo 72 giorni sulla parete del K2 tra i cinquemila e gli ottomila metri di altezza, affrontando condizioni dantesche. All’epoca non c’erano né internet né i telefoni satellitari, solo un mail runner, una sorta di maratoneta che ci metteva dieci giorni per arrivare nelle valli pachistane più in basso e trasmettere al resto del mondo i nostri messaggi scarabocchiati su pezzi di carta. Non ho notizie di Béatrice. La spedizione è davvero difficile, più si è pesanti, più si è lenti. E noi siamo molto lenti, troppo lenti. Arriva l’inverno himalayano, con le nevicate e le temperature rigidissime. Non riusciamo quasi più ad avanzare, facciamo dieci metri all’ora. La spedizione si blocca a cento metri dalla cima, abbiamo vinto la parete ma non la montagna. Una squadra più leggera avrebbe forse potuto raggiungere la cima, ma non sarebbe mai tornata indietro viva.
Durante i quindici giorni di cammino per tornare indietro analizziamo la spedizione e a volte ci arrabbiamo. Rivediamo gli errori strategici: una squadra e una struttura logistica più leggere, più rapide, sarebbero state sicuramente più efficaci. Il microcosmo di queste forti personalità dell’alpinismo è complicato. Ma non è grave, penso a Béatrice, sono felice di rivederla, mi è mancata. Arriviamo all’aeroporto di Orly, ci accoglie un comitato di benvenuto, la missione non è stata portata a termine, la vittoria ci è sfuggita, ma siamo accolti come degli eroi.
Nella folla c’è Béatrice. Mi aspetta, mi sorride, mi dice che quattro mesi di assenza sono troppi e mi annuncia che ha tolto tutti i suoi mobili dall’appartamento, ha ripreso l’auto e che mi lascia per uno dei suoi compagni di vela, uno studente di giurisprudenza diventato avvocato durante l’estate. Sicuramente un miglior consulente per gli investimenti del suo nuovo patrimonio. Al contrario di me, che dilapiderei la sua eredità in avventure in cui rischierei la vita.
Pensavo di tornare come un guerriero ricoperto di gloria, mi sono fatto lasciare in cinque minuti come uno sfigato nell’atrio di Orly. Ho il morale a terra. Anche la mia banca contribuisce: il mio conto è praticamente a zero. Il ritorno a casa è doloroso. Ma la montagna ha un vantaggio: impari a gestire le tempeste, le valanghe, e a sapere che il brutto tempo non durerà per sempre”.
(Traduzione di Andrea De Ritis)
Amore che vieni, amore che vai è una serie del quotidiano francese Le Monde che racconta il primo e l’ultimo giorno di una storia d’amore. Qui ci sono tutte le puntate.