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Il problema con i pannelli solari è lo smaltimento

Un parco fotovoltaico a Les Mées, nel sud della Francia, 31 marzo 2015. (Jean-Paul Pelissier, Reuters/Contrasto)

Molto presto miliardi di pannelli solari in tutto il mondo dovranno essere dismessi. E quando saranno smaltiti, molti materiali che potrebbero essere riusati per costruirne di nuovi andranno sprecati.

Si calcola che entro il 2050 saranno prodotti rifiuti per 78 milioni di tonnellate. Si tratta di circa quattro miliardi di pannelli solari. Ma questi pannelli non sono stati pensati perché le materie prime al loro interno possano essere estratte e poi usate di nuovo, quindi è probabile che in gran parte saranno triturati negli impianti di riciclaggio. Questo contamina i materiali, rendendone difficile il recupero.

È necessario che gli apparecchi elettronici vengano progettati in modo da poter riusare i loro componenti e limitare gli scarti. Se non cambieremo il nostro approccio allo sfruttamento delle materie prime, rallenteremo la diffusione delle energie rinnovabili indispensabili per il nostro futuro e per contrastare il cambiamento climatico, e i materiali di cui avremo bisogno andranno persi tra i rifiuti che abbiamo generato.

Rifiuti utili
Se fossero recuperati, i componenti dei pannelli solari a fine vita potrebbero valere circa 15 miliardi di dollari (13,3 miliardi di euro) e si potrebbero usare per due miliardi di nuovi pannelli. Ma i vantaggi non sarebbero solo economici, dato che il 70 per cento delle emissioni di gas serra è legato sia all’estrazione delle materie prime sia alla produzione e all’uso delle merci. Quindi per far fronte al cambiamento climatico bisogna ridurre lo sfruttamento delle risorse al livello globale.

È importante evitare uno scenario di scarsità dei materiali, perché si corre il rischio di limitare la diffusione delle tecnologie sostenibili e di essere meno incisivi nella lotta contro la crisi climatica. Per esempio i semiconduttori – ampiamente usati nei chip dei computer – sono necessari anche per i pannelli solari e per le lampadine a risparmio energetico, mentre i magneti presenti nelle turbine eoliche si usano anche nei veicoli a basse emissioni. Negli impianti solari di nuova generazione sono già stati eliminati alcuni componenti, come l’indio, per il timore che le forniture scarseggino.

I benefici del riuso
Abbiamo sviluppato un appetito insaziabile per le materie prime. Si calcola che nel 2020 siano state prelevati cento miliardi di tonnellate di materiali, e solo l’8,6 per cento sia stato rimesso in circolazione nell’economia. Di conseguenza i rifiuti elettronici registrano la crescita più rapida in tutto il comparto, con 53,6 milioni di tonnellate prodotte nel 2019 al livello globale.

Secondo un recente rapporto della Giraffe innovation (una società di consulenza specializzata in tematiche ambientali) realizzato in collaborazione con l’università di Swansea, nel 2019 il Regno Unito ha prodotto 1,6 tonnellate di rifiuti elettronici che contenevano quasi quattro quintali di materie prime strategiche, per un valore potenziale di 148 milioni di sterline (circa 175 milioni di euro). A causa della mancanza di infrastrutture e delle inefficienze nei processi di riciclaggio, che si sommano ai limitati progetti per gli apparecchi a fine vita, la maggior parte di questi materiali andrà sprecata.

Servono progetti che tengano conto dei prodotti a fine vita

Al momento il fatto che componenti preziosi non siano recuperati e riciclati in modo efficiente rende queste tecnologie non sostenibili. Al livello globale la percentuale di riciclo di trenta elementi strategici per lo sviluppo di nuove tecnologie è inferiore all’1 per cento.

Una delle principali carenze in fase di progettazione è dovuta al fatto che i componenti delle apparecchiature sono “incollati” insieme, e per smaltirle bisogna ridurle in piccoli frammenti fatti di materiali misti difficili da separare in un secondo momento. Una ricerca recente sul recupero delle materie prime dai rifiuti elettronici evidenzia un altro problema: l’immagine qui sotto ritrae un tipico circuito stampato e mostra la posizione dei materiali strategici, ma anche la difficoltà di estrarli, in primo luogo perché sono dislocati sulla scheda in piccole quantità, ma anche perché per individuarne la posizione servono attrezzature sofisticate. E questo ancora prima di cominciare i processi di separazione e di recupero. La chiave sta nella fase di progettazione, che dev’essere migliorata.

Un circuito con evidenziati i materiali strategici: oro, argento, palladio, rutenio, ittrio, cobalto, antimonio, iridio.

Per poter riusare questi materiali e puntare su un’economia circolare (ovvero su un sistema ecosostenibile che si rigenera da solo), servono progetti che tengano conto dei prodotti a fine vita, oltre a migliori infrastrutture per la loro trasformazione e il loro riciclaggio. Questo approccio avrà delle conseguenze positive per i consumatori, perché i prodotti dureranno più a lungo e potranno essere facilmente aggiornati e riparati.

Per rendere le nuove tecnologie davvero sostenibili, bisogna prevedere la possibilità di estrarre le materie prime strategiche dai prodotti che arrivano a fine vita.

Possiamo immaginare il nostro futuro avendo fin dall’inizio come obiettivo l’economia circolare. Dovremmo pensare ai rifiuti come a una risorsa, per offrire alla società il massimo dei benefici e tecnologie davvero sostenibili.

(Traduzione di Davide Musso)

Questo articolo è uscito su The Conversation.

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