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Gli interessi economici dietro il colpo di stato in Birmania

Bangkok, Thailandia, 7 febbraio 2021. Un’immagine del generale Min Aung Hlaing usata durante una protesta contro il colpo di stato in Birmania. (Peerapon Boonyakiat, Sopa Images/Zuma Wire/Ansa)

Impadronendosi del potere assoluto, il leader del colpo di stato in Birmania, il generale Min Aung Hlaing, ha protetto gli interessi finanziari suoi e della sua famiglia, oltre al dominio incontrastato dell’esercito sull’economia.

Per buona parte della sua carriera militare, Min Aung Hlaing è stato un ufficiale discreto e schivo, stabilmente promosso a posizioni più elevate. Ha assunto il potere assoluto all’alba dell’1 febbraio, cinque mesi prima del suo pensionamento obbligatorio all’età di 65 anni, previsto per il 3 luglio.

Da quello che dicono varie fonti, tra gli altri obiettivi, il capo delle forze armate spera di proteggere se stesso, la sua famiglia e i militari da possibili indagini sui loro estesi e remunerativi accordi economici e holding finanziarie.

“I suoi interessi finanziari devono essere considerati un movente del colpo di stato”, ha dichiarato in una nota il gruppo di attivisti Justice for Myanmar. “Il generale Min Aung Hlaing detiene l’autorità suprema sui due conglomerati militari della Birmania: Myanmar economic corporation (Mec) e Myanmar economic holdings limited (Mehl).

Secondo alcuni resoconti, la Mec e la Mehl hanno investito in attività commerciali nei porti, nei depositi di container, nelle miniere di giada e rubino, nell’immobiliare, nell’edilizia e in altri lucrativi settori.

Una lunga lista
Il figlio di Min Aung Hlaing, Aung Pyae Sone, gestisce un’“attività di forniture mediche, la A&M Mahar, che vende autorizzazioni della Food and drug administration, l’ente che supervisiona la sicurezza e la qualità di alimenti e medicinali nel paese, e negozia le importazioni, oltre a occuparsi del commercio di tecnologie farmaceutiche e mediche”, prosegue la nota.

“Aung Pyae Sone possiede anche l’Azura beach resort, che si presenta come il ‘principale villaggio vacanze di Chaung Tha’”, una località balneare della regione di Ayeyarwady, molto frequentata dalle élite di Yangoon. Qualche anno fa Sky one construction ha ottenuto il permesso di “costruire un villaggio vacanze su 22,22 acri (circa 9 ettari) di terreno ceduti in locazione dal governo… Sky one construction è di proprietà di Aung Pyae Sone”, si legge.

“Anche la moglie di Aung Pyae Sone, Myo Yadanar Htaik, è in affari, per esempio dirige insieme al marito la Nyein Chan Pyae Sone manufacturing & trading company”. La nota denuncia anche che “la figlia di Min Aung Hlaing, Khin Thiri Thet Mon, possiede Seventh sense, una società che produce film ad alto costo e ha contratti esclusivi con gli attori Nay Toe e Wut Hmone Shwe Yi”.

La lista delle proprietà della famiglia è lunga ed estesa. Un rapporto dell’Onu del 2019 affermava che la Mec e la Mehl “contribuiscono a sostenere le capacità finanziarie del Tatmadaw”, l’esercito birmano. Questi conglomerati militari presentano “un alto rischio di contribuire, o di essere legati, a violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale”, sosteneva il rapporto.

Se Min Aung Hlaing fosse andato in pensione, sarebbe potuto diventare oggetto d’indagini finanziarie da parte del nuovo governo

Il responsabile del colpo di stato gode di ampio sostegno da parte degli altri ufficiali, compresi quelli che hanno beneficiato delle molte attività commerciali dell’esercito.

Di recente avrebbe anche soddisfatto le truppe regolari con l’acquisto di costosi armamenti ed equipaggiamenti da Cina, Russia, Israele e altri paesi. Tradizionalmente questi accordi hanno permesso ai vertici dell’esercito di ottenere guadagni personali gonfiando i prezzi.

L’ong Transparency international ha costantemente inserito la Birmania tra i paesi più corrotti al mondo, secondo il suo Indice di corruzione percepita.

Gli interessi di Pechino
Ma il rigido controllo esercitato da Min Aung Hlaing, dalla sua famiglia e dagli altri militari rende le loro attività finanziarie particolarmente problematiche da misurare, in mancanza di trasparenza o di resoconti sui loro guadagni e trasferimenti di proprietà.

Se Min Aung Hlaing fosse andato in pensione, sarebbe potuto diventare oggetto d’indagini finanziarie da parte del nuovo governo guidato dal partito Lega nazionale per la democrazia (Nld) di Aung San Suu Kyi, che nelle elezioni dello scorso novembre ha ottenuto una schiacciante vittoria sul partito controllato dall’esercito.

“Quando Suu Kyi ha vinto le elezioni con tanto margine, si è presentato il rischio che una vera democratizzazione – anche se di natura illiberale – minasse la posizione dell’esercito per molto tempo”, ha scritto Avinash Paliwal, che insegna alla School of Oriental and African studies della London university.

Non è chiaro in che modo Min Aung Hlaing e l’esercito percepissero le crescenti relazioni commerciali di Suu Kyi e dell’Nld con la Cina, che possiede ampi interessi nello sviluppo infrastrutturale della Birmania, nell’ambito della sua Belt and road initiative, la nuova via della seta. Non si sa quanti di questi enormi contratti, che riguardano strade, ferrovie e porti, fossero guidati e controllati dall’Nld e se l’esercito avesse o meno una compartecipazione nei relativi e remunerativi contratti.

Caduta in disgrazia
La pressione internazionale su Min Aung Hlaing è cresciuta dai tempi della sua brutale repressione militare sulla minoranza rohingya, e ci si aspettava che il generale sarebbe stato preso di mira con maggiore intensità nei prossimi mesi.

Suu Kyi, vincitrice del premio Nobel per la pace, è amatissima in Birmania nonostante negli ultimi anni sia caduta in disgrazia a causa della sua risposta alla crisi dei rohingya, e sia stata privata di molti dei premi internazionali ricevuti come icona della democrazia.

Gli investigatori dell’Onu hanno affermato che l’esercito andrebbe processato per “genocidio”, perché ha massacrato, violentato ed espulso i rohingya dalla Birmania occidentale tra 2016 e 2017. Più di 730mila rohingya sono fuggiti nel vicino Bangladesh, un paese a maggioranza musulmana, dove continuano a languire in miseri campi profughi.

Suu Kyi e l’esercito hanno respinto le accuse di genocidio e hanno dichiarato che le forze di sicurezza della Birmania hanno lanciato degli attacchi di autodifesa contro “terroristi”.

Nel 2019 gli Stati Uniti hanno imposto delle sanzioni contro Min Aung Hlaing e tre altri dirigenti militari per il loro ruolo nelle violenze contro i rohingya.

Queste sanzioni sono rientrate nel Global Magnitsky human rights accountability act e hanno congelato tutti i beni di proprietà di Min Aung Hlaing e di altri tre ufficiali negli Stati Uniti. Inoltre hanno reso illegali gli affari degli statunitensi con loro.

Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha immediatamente condannato il colpo di stato e ha minacciato altre sanzioni. Ma è improbabile che nuove misure punitive di Washington allontanino Min Aung Hlaing e l’esercito dal potere.

I militari hanno governato ininterrottamente per decenni, a partire dal colpo di stato del 1962. Il potere è stato rafforzato con un golpe nel 1988, prima che venisse garantita una transizione quasi democratica, che ha visto Suu Kyi e l’Nld vincere le elezioni del 2015 e del 2020.

L’esercito ha tuttavia mantenuto il suo ruolo politico, nominando rappresentanti militari con potere di veto in parlamento e controllando i potenti ministeri dell’interno, della difesa e delle frontiere.

I precedenti regimi militari hanno portato l’economia, un tempo una delle più prospere della regione, agli attuali e grotteschi livello di disuguaglianza, peggiorati da decenni di sanzioni internazionali. Resta da vedere come risponderanno gli investitori esteri, arrivati nel paese sotto il governo eletto di Suu Kyi.

Sulle aziende straniere attive nel paese sta già crescendo la pressione dei gruppi che si occupano di diritti umani. Il rapporto pubblicato il 3 febbraio dall’ong Human rights watch (Hrw), intitolato “La vostra azienda sta finanziando le violenze dell’esercito in Birmania?”, ha preso di mira in particolare la giapponese Kirin Holding, che si occupa di birre e altre bibite, per la sua partecipazione in due birrifici legati all’esercito. Due giorni dopo l’azienda ha annunciato che, in risposta al colpo di stato, avrebbe interrotto la sua collaborazione con il conglomerato Mehl nei due birrifici Myanmar e Mandalay.

L’esercito “è stato accusato di genocidio e crimini contro l’umanità nei confronti dei musulmani rohingya, e di crimini di guerra contro altre minoranze etniche. E ora ha rovesciato un governo civile che è stato rieletto con oltre l’80 per cento dei voti nel novembre 2020”, ha scritto Aruna Kashyap di Hrw.

La tailandese Amata ha temporaneamente sospeso il suo progetto edilizio industriale da un miliardo di dollari in Birmania, preoccupata che le nuove sanzioni rendano il progetto insostenibile per gli investitori internazionali. “Noi e i nostri clienti siamo preoccupati da un possibile boicottaggio commerciale dei paesi occidentali”, ha dichiarato il 2 febbraio il direttore del marketing di Amata, Viboon Kromadit.

Suzuki motor, nel frattempo, ha fermato i suoi due impianti di produzione di automobili in Birmania, in attesa che la situazione si stabilizzi. I crescenti interessi commerciali della Cina in Birmania dovrebbero, invece, essere meno colpiti dal momento che Pechino di fatto ha già dato il suo sostegno al colpo di stato.

( Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato da Asia Times.

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