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Perché ci piacciono le canzoni tristi

Alexey Pavlov, Getty Images

Il 19 novembre è uscito 30, il nuovo album di Adele. Il mese scorso centinaia di milioni di persone avevano ascoltato in streaming il suo primo singolo, Easy on me. Questa canzone evoca sentimenti che non è facile esprimere a parole. Ma possiamo forse concordare sul fatto che si tratta di una canzone triste.

Non è una cosa scontata che ci piaccia questo genere di musica. Di solito la tristezza è un sentimento che cerchiamo di evitare, questo genere di musica dovrebbe risultare deprimente e sgradevole alle nostre orecchie. Invece ci attrae e ci tira su di morale. Ma perché ascoltare musica triste ci fa stare così bene?

Partiamo dalle teorie biologiche. Quando viviamo una perdita in prima persona o empatizziamo con il dolore altrui, il nostro organismo rilascia ormoni come la prolattina e l’ossitocina che ci aiutano ad affrontare il senso di vuoto e il dolore, perché ci fanno sentire calmi, confortati e sostenuti.

Percepire il dolore di Adele, o ricordare il nostro, può scatenare dentro di noi queste reazioni chimiche. Cliccare su una canzone di Adele è come cliccare su una metaforica flebo di morfina.

Ma su questo il verdetto non è unanime. Secondo uno studio, non esistono prove che la musica triste faccia aumentare i livelli di prolattina. Altre ricerche, invece, suggeriscono che la prolattina e l’ossitocina contribuiscono a far sì che la musica triste ci trasmetta una sensazione di benessere.

La psicologia della musica triste
Una delle ragioni principali per cui amiamo le canzoni tristi è che ci “commuovono” profondamente. Questa esperienza talvolta è chiamata kama muta, un termine sanscrito che significa “commosso dall’amore”. Commuoversi può implicare la comparsa di brividi, pelle d’oca, una marea di emozioni (comprese quelle romantiche), calore nel petto ed euforia.

Ma perché ci commuoviamo? Lo scrittore americano James Baldwin arrivò a questa conclusione: “Le cose che mi tormentavano di più erano proprio quelle che mi univano a tutte le persone che erano vive, e a tutte quelle che lo erano state”. Allo stesso modo, la commozione può derivare dal fatto che improvvisamente ci sentiamo più vicini agli altri.


Potrebbe essere questo il motivo per cui le persone più propense a commuoversi con la musica triste sono anche quelle che hanno un alto livello di empatia. In effetti, dopo aver ascoltato 30 potremmo cercare online dei reaction video – video diffusi online che mostrano come le persone reagiscono a serie tv, film, canzoni – per verificare cosa provano altri ascoltatori. Questo ci permette di condividere un’esperienza emotiva, e la condivisione di un sentimento con una comunità di persone fa aumentare la commozione e innesca un senso di appartenenza e di conforto.

Una suggestione in qualche modo legata a questo ragionamento è che la musica triste di Adele possa funzionare come un amico e agire da surrogato sociale. La musica triste può essere un amico immaginario che ci sostiene ed empatizza con noi dopo una perdita.

La commozione può anche scattare con il ricordo di momenti importanti della nostra vita. Le canzoni di Adele sono molto nostalgiche. Quindi in realtà potrebbe essere la nostalgia, e non la tristezza, l’emozione che ci fa stare bene.

In effetti solo il 25 per cento delle persone che ascoltano questo genere musicale afferma di sentirsi triste. Gli altri provano emozioni diverse, spesso correlate, e il più delle volte proprio la nostalgia: un sentimento che concorre alla crescita del nostro senso di connessione sociale, a mitigare la sensazione che le cose non abbiano senso e a ridurre l’ansia.

Un tipo completamente diverso di teoria psicologica sostiene che canzoni come quelle di Adele siano delle palestre emotive, spazi sicuri e controllati dove possiamo esplorare una simulazione della tristezza. Insomma, l’equivalente emotivo di Neo che si allena con Morpheus nel film Matrix.

La tristezza simulata ci permette di sperimentare e di apprendere. Possiamo migliorare la nostra empatia, imparare a vedere meglio le cose dal punto di vista degli altri e provare a reagire alla tristezza, in modo da essere un po’ più preparati quando ci ritroveremo ad affrontare un momento difficile nella nostra vita. Queste esperienze istruttive potrebbero essersi evolute per risultare gradevoli e più facili da utilizzare.

È anche possibile che le canzoni di Adele non piacciano perché sono tristi o nostalgiche, ma semplicemente perché sono belle. La tristezza potrebbe quindi coincidere con la bellezza. C’è chi sostiene che assistere ad azioni virtuose o a qualcosa di bello può toccarci, commuoverci e ispirarci.

E poi possiamo prendere in considerazione l’aspetto culturale: Adele nelle sue canzoni parla di esperienze difficili e ci aiuta a farcene una ragione. È proprio quello che fa l’arte tragica: prende il dolore, la sofferenza e la tristezza del mondo e dà loro un senso. Come disse il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche: “Chi ha un perché per vivere può sopportare quasi ogni come”.

Insomma, le canzoni di Adele possono avere un significato diverso per ognuno di noi. Ascoltiamo musica triste quando vogliamo riflettere, sentirci parte di una comunità o rilassarci. La ascoltiamo per sperimentare la bellezza, ricevere conforto o abbandonarci ai ricordi.

Ma quello che le canzoni di Adele dicono a ciascuno è: non sei solo nel tuo dolore. Ci permettono di percepire il suo dolore, di condividere la nostra sofferenza e di entrare in contatto con altre persone del passato e del presente. E nella condivisione della nostra umanità è racchiusa la bellezza.

(Traduzione di Davide Musso)

Questo articolo è stato pubblicato da The Conversation.

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