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Armati di videocamere

Una foto scattata da un volontario dell’ong israeliana B’Tselem nella città vecchia di Gerusalemme. (B’Tselem)

La settimana scorsa ho avuto l’ennesima conferma del motivo per cui l’identità delle fonti palestinesi non va rivelata. Il problema è che nel mio articolo non ho potuto evitare di citare i nomi, perché la vicenda e i suoi protagonisti erano già apparsi sul sito dell’ong israeliana B’Tselem tre mesi prima.

Da dieci anni B’Tselem consegna ad alcuni volontari palestinesi piccole videocamere per documentare le azioni dei coloni e dei soldati israeliani in Cisgiordania. Ho incontrato uno di questi “operatori”, che aveva coraggiosamente sfidato l’ordine di tre soldati di abbandonare il suo terreno, a un chilometro e mezzo da un insediamento israeliano particolarmente violento. I soldati lo hanno picchiato e arrestato, mentre un altro ha sparato a suo fratello a una gamba, con un proiettile rivestito di gomma. Lo Shin Bet ha subito revocato il permesso di lavoro in Israele del volontario, che è rimasto in detenzione per sei giorni, con l’accusa incredibile di aver attaccato i soldati. Fortunatamente, durante l’arresto è riuscito a nascondere la videocamera e la scheda. Questa è stata poi consegnata al tribunale militare e l’uomo è stato rilasciato.

Ho scritto un articolo rivolgendomi ai genitori dei tre soldati. È un testo duro che ridicolizza i soldati ed elogia gli operatori palestinesi. Ha fatto molto scalpore, e un gruppo di coloni di destra ha presentato un esposto contro il volontario di B’Tselem. È un vecchio trucco: vogliono metterci a tacere minacciando di vendicarsi.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questa rubrica è stata pubblicata il 19 maggio 2017 a pagina 29 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

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