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Perché bisogna fare spazio alle notizie positive

George Marks, Getty Images

L’incontro si intitola Giornalismo oggi: c’è ancora spazio per le buone notizie? e fa parte del programma di aggiornamento istituito dall’ordine dei giornalisti. Ci vado sia per sentire quello che si dice, sia per vedere quanta gente c’è (ce n’è, ma la sala non è proprio piena), sia per capire quanto interesse si accende intorno al tema tra gli addetti ai lavori. Quelli, insomma, che ogni giorno per mestiere cucinano l’informazione.

A parlare di notizie positive è Alessio Maurizi, caposervizio della redazione news di Radio24 e da diversi anni conduttore della trasmissione Si può fare - Cronache da un paese migliore. Maurizi esordisce con un’affermazione impegnativa: “Le buone notizie servono a salvare il giornalismo, i lettori e il mondo”.

Un’alternativa balsamica

Apro l’iPad e mi dispongo a prendere appunti: se riesce ad argomentare bene questa tesi, penso, si merita un resoconto accurato. Be’, l’argomentazione mi è sembrata notevole. Ed eccovi il resoconto, che sarà in due parti.

Maurizi comincia ricapitolando alcuni elementi di base. Una notizia, dice, è qualcosa che ha un elemento di straordinarietà: l’uomo che morde il cane. Ma noi abbiamo un quadro distorto della straordinarietà. A sembrarci “più straordinarie” sono le notizie negative: lo scoppio di una guerra, la morte di un papa. Sono quelle che scatenano emozioni potenti e si stampano nella nostra memoria.

Piace ciò che è rassicurante e regala un po’ di leggerezza

Così, per esempio, succede che a partire dal 2008 non passi un solo giorno senza che i mezzi d’informazione parlino di crisi economica. Intanto, nessuno si accorge del fatto che nel mondo, fra il 1990 e il 2015, è più che dimezzato il numero delle persone che soffrono per fame e povertà estrema.

Ma, al di là di ciò che provoca paura o rabbia, e che per questo sembra straordinario, ci sono altri elementi che suscitano interesse: per esempio, gli eventi vicini interessano più di quelli lontani. Interessano i soldi. Interessa ciò che riguarda le passioni: sport, ambiente, cultura, cinema…

Infine piace quello che è rassicurante e regala un po’ di leggerezza: la cronaca rosa, il gossip, i gattini. Tutti elementi che hanno un effetto balsamico. Un’alternativa balsamica, almeno per alcune testate e alcuni pubblici, è una dose quotidiana di tette e sederi.

Per riuscire a vendere informazione bisogna amplificare il meccanismo della straordinarietà

Nel giro di qualche decennio, prosegue Maurizi, la concorrenza nel mondo dell’informazione è aumentata: negli anni settanta i telegiornali sulla tv italiana erano solo due. Nel 2000 erano sei. Oggi sono nove. Negli anni settanta i quotidiani contenevano hard news, e i periodici offrivano storie, interviste, approfondimenti.

Oggi tutti offrono tutto, e in più c’è la rete. Vendere informazione è più difficile, e un modo più semplice per continuare a riuscirci è amplificare il meccanismo della straordinarietà. L’ideale sarebbe avere breaking news cinque volte al giorno.

Pericolosa assuefazione

Poiché i fatti straordinari non sono mai abbastanza, si ingigantisce e si serializza la straordinarietà: ed ecco i plastici, i criminologi, i dettagli raccapriccianti. Ci si inventa l’approfondimento dell’approfondimento dell’approfondimento (un esempio è Quarto grado, cronaca nera raccontata dalla parte della vittima, con il medico legale o il criminologo in studio. È uno dei due programmi di punta di Rete4).

E si rendono straordinarie anche le opinioni delle persone che parlano di questi fatti: le vere stelle della televisione oggi sono i protagonisti abituali dei talk show.

Ma tutto ciò, da una parte, genera assuefazione, e “assuefazione” significa perdita d’interesse: qualcosa di assai pericoloso per i mezzi d’informazione. Dall’altra, chiede di essere bilanciato da dosi altrettanto massicce di fatterelli sempre più leggeri e rassicuranti: oggi perfino le testate più autorevoli ospitano sezioni del tutto frivole.

Equilibrio e qualità globale

Le buone notizie, dice Maurizi, salvano i media, il giornalismo e anche il pubblico perché generano meccanismi percettivi e cognitivi virtuosi. Rassicurano senza essere frivole o sceme. Suscitano interesse perché sono “vicine”. Estendono il criterio di straordinarietà alle persone normali, e possono attivare importanti meccanismi di identificazione e di empatia.

Alcune testate hanno già scelto la strada di bilanciare le ineliminabili e necessarie notizie cattive con notizie buone, “e non con notizie frivole”. Per esempio, Report affianca, alle sue inchieste dure e coraggiose, una sezione Good news.

La Stampa lo fa da molti anni, e spesso una buona notizia riguardante persone normali finisce in prima pagina (leggetevi questa, firmata da Massimo Gramellini, per esempio). Il Corriere della Sera presta molta attenzione al terzo settore e alle buone notizie, specie in rete (qui il blog InVisibili. Qui Buone notizie). Ma ospita spesso notizie positive anche La 27ora. E almeno una buona notizia nel corso della giornata finisce in prima pagina.

In sostanza, le buone notizie, al posto delle notizie frivole, possono cambiare l’intera offerta dell’informazione: le danno più equilibrio e ne migliorano la qualità globale. Ma la sfida ulteriore riguarda il modo di dare le buone notizie, che sono delicate da trattare e non semplici da trovare. Di questo vi parlo nel prossimo articolo.

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