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Per l’Unione europea è il momento della verità sui migranti

Migranti siriani e afgani arrivano sulle coste dell’isola di Lesbo, in Grecia, il 13 settembre 2015. (Alkis Konstantinidis, Reuters/Contrasto)

Siamo al momento della verità. Se l’Unione europea non riuscirà a trovare un accordo sul problema dei migranti in occasione della riunione dei ministri dell’interno, bisognerà convocare un vertice straordinario dei 28 leader europei, un Consiglio europeo che rischierebbe di confermare le divisioni interne sprofondando l’Europa in una crisi politica gravissima.

Dopo essersi consultati per tutto il fine settimana, i governi di Francia e Germania propongono che i paesi membri accettino il principio di una ripartizione dei migranti in base alle dimensioni e alla situazione economica di ciascun paese, impegnandosi al contempo ad affrontare seriamente il problema del controllo delle frontiere esterne e a creare centri d’accoglienza per poter distinguere tra migranti economici e rifugiati politici.

Un cauto ottimismo

Trovare un accordo su questi due punti non è impossibile, perché il secondo è universalmente accettato e perché l’Ungheria, che si oppone più degli altri al sistema delle quote obbligatorie, sarebbe esentata come la Grecia e l’Italia, gli altri due paesi della frontiera europea dove i rifugiati sono già molto numerosi.

L’intesa è tanto più realizzabile se consideriamo che la Polonia non rifiuta l’idea di accogliere i migranti, che altri paesi ostili alle quote cominciano a rivedere la loro posizione e che nelle riunioni ministeriali si vota a maggioranza qualificata.

Domenica, a Parigi come a Berlino, si respirava un cauto ottimismo. Al contempo, oltre al fatto che la battaglia sarà difficile e incerta, bisogna tenere conto che il flusso di migranti e richiedenti asilo continua ad aumentare e ci vorrà qualche giorno prima di realizzare la selezione alle frontiere.

L’Europa ha bisogno di tempo, ed è per questo che tedeschi e francesi hanno raggiunto un accordo provvisorio su 120mila migranti. Francia e Germania vogliono affermare un principio che sia applicabile anche in seguito e allo stesso tempo vogliono ridurre il numero di arrivi spingendo l’Unione a contribuire al miglioramento delle condizioni di vita nei campi profughi siriani in Giordania, Libano e Turchia.

Riuscirci non sarà facile, perché esistono grosse difficoltà logistiche e soprattutto perché la politica interna di quasi tutti gli stati membri attraversa un periodo particolarmente complesso.

L’Unione paga il suo ritardo nel dotarsi di una politica estera e di una difesa comuni che le avrebbero permesso di avere un peso in Medio Oriente e gestire le crisi senza bisogno dell’approvazione e dell’appoggio degli Stati Uniti. Adesso l’Ue deve fare i conti con la sua inesistenza come potenza politica sulla scena internazionale, ed è per questo che è arrivato il momento della verità.

Questa crisi renderà l’Unione più forte o la indebolirà ulteriormente riducendola presto all’“ognuno per sé”, trasformando ciascuno stato europeo in una potenza trascurabile. È precisamente contro questo scenario che la Germania ha messo in guardia i partner chiudendo le sue frontiere.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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