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Tredici secoli di guerra tra sciiti e sunniti

Una protesta a Teheran, in Iran, contro l’esecuzione dell’imam sciita Nimr al Nimr da parte dell’Arabia Saudita, il 4 gennaio 2016. (Atta Kenare, Afp)

La nuova crisi mediorientale ha diverse cause. Oggi l’Iran e l’Arabia Saudita sono arrivati alla sospensione dei rapporti diplomatici, ma il loro antagonismo risale al settimo secolo, quando gli arabi divenuti musulmani conquistarono, distrussero e convertirono a forza l’antica Persia, l’attuale Iran.

Per proteggere la loro identità all’interno di un mondo islamico essenzialmente arabo, gli iraniani scelsero presto lo sciismo, corrente minoritaria dell’Islam di cui il loro paese è diventato un baluardo in contrasto con l’Arabia Saudita, sunnita come la maggioranza dei musulmani. All’antica rivalità regionale tra le due potenze si è aggiunto così un conflitto religioso, e lo scontro si è intensificato con la rivoluzione iraniana del 1979.

Non soltanto la rivoluzione aveva abbattuto una monarchia senza nascondere il suo disprezzo per le famiglie reali dell’Arabia Saudita e del Golfo, non soltanto queste dinastie si erano sentite minacciate dalla Repubblica islamica che aveva preso il posto dello scià, ma l’Iran aveva presto esteso la sua influenza nelle terre arabe appoggiandosi alle minoranze sciite, al potere come in Siria o emarginate dal comando come in Libano.

L’intervento americano in Iraq ha ulteriormente peggiorato la situazione strappando il controllo del paese alla minoranza sunnita e affidandolo alla maggioranza sciita, regalando in questo modo un nuovo alleato all’Iran sciita. Affidandosi all’azione dei rispettivi fedeli, dal Libano allo Yemen passando per l’Iraq e la Siria, Arabia Saudita e Iran hanno continuato a sfidarsi per ottenere un dominio regionale. È in questo contesto che gli Stati Uniti hanno ulteriormente complicato la situazione con il loro riavvicinamento nei confronti dell’Iran in occasione del compromesso sul nucleare, a cui Riyadh era ancor più contraria degli israeliani.

I sauditi si sono sentiti abbandonati da Washington e costretti a difendersi da soli, ed è per questo che a Riyadh si affermano principi sempre più giovani (cinquantenni o addirittura trentenni). L’ultima causa di questo aumento della tensione, infine, nasce dalla scelta dei nuovi leader sauditi di combattere allo stesso tempo l’Iran sciita e i jihadisti sunniti.

E così arriviamo a sabato scorso: insieme a una quarantina di sostenitori del gruppo Stato islamico (Is) e di Al Qaeda, i sauditi hanno eseguito la condanna a morte di quattro attivisti sciiti, tra cui una figura religiosa di spicco, scatenando la rabbia dell’Iran.

Per quanto sia alta la tensione, ancora non siamo arrivati all’azione militare. L’ipotesi di una guerra resta improbabile, perché entrambi i paesi sono indeboliti dal calo del prezzo del petrolio e perché l’Iran spera di approfittare della cancellazione delle sanzioni economiche per rafforzarsi, mentre l’Arabia Saudita, pur contando su armamenti più moderni, non ha un vero e proprio esercito. Anche se non esiste il rischio di uno scontro frontale, le speranze di una soluzione pacifica in Siria e Yemen appaiono ormai compromesse, e il Medio Oriente rischia di veder scorrere altro sangue.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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