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Due milioni di persone in  piazza contro il governo in Brasile

I brasiliani sono scesi in piazza per protestare contro la presidente Dilma Rousseff, accusata di aver coperto un sistema di corruzione e tangenti che ha coinvolto tutti i partiti brasiliani, in particolare il Partito dei lavoratori. Secondo i manifestanti Rousseff era a conoscenza del giro di tangenti in cui è coinvolta la compagnia petrolifera nazionale Petrobras

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La protesta brasiliana è appena cominciata

Nessuno si aspettava una partecipazione così grande. Il 15 marzo, in coincidenza con il trentesimo anniversario del ritorno alla democrazia dopo una lunga dittatura militare, più di due milioni di brasiliani sono scesi in piazza in tutto il paese per protestare contro il governo della presidente Dilma Rousseff, contro il Partito dei lavoratori (Pt) e contro la corruzione. Le manifestazioni più grandi sono state quelle di Brasília, la capitale politica, e di São Paulo, il centro nevralgico del potere economico e finanziario. Ma centinaia di cittadini, con bandiere e magliette gialle e verdi, i colori del paese, hanno marciato in più di duecento città al grido di “Fuori Dilma, fuori Pt”.

A differenza della protesta scoppiata nell’estate del 2013 contro gli sprechi per l’organizzazione dei Mondiali, domenica non si sono viste bandiere di partito e non ci sono stati incidenti né scontri con le forze dell’ordine. Secondo molti analisti si tratta della protesta più vasta nella recente storia democratica del Brasile: per trovare qualcosa di analogo bisogna risalire al 1984, con il movimento Diretas-Já, quando milioni di brasiliani scesero in piazza per chiedere le elezioni dirette del presidente della repubblica.

Cinque mesi dopo l’inizio del suo secondo mandato, Rousseff (rieletta il 26 ottobre con il 51,6 per cento dei voti, battendo di poco il socialdemocratico Aécio Neves) è in grave difficoltà. Lo scandalo di corruzione che ha colpito l’azienda petrolifera statale Petrobras continua ad allargarsi e in pochi credono che l’ex guerrigliera potesse essere all’oscuro dei fatti. Le indagini hanno rivelato un complesso sistema di tangenti e appalti quasi istituzionalizzato, che coinvolge i quattro principali partiti politici brasiliani. E il 6 marzo la pubblicazione della lista compilata dal procuratore generale Rodrigo Janot con i nomi di 54 politici coinvolti nell’inchiesta ha senza dubbio aggravato la situazione. Tra le persone citate nell’elenco compaiono anche il presidente della camera dei deputati, Eduardo Cunha, e il presidente del senato Renan Calheiros, entrambi del Partito del movimento democratico brasiliano, principale alleato del governo.

La situazione economica del paese non aiuta la presidente, che nella sua pagina Facebook ha comunque difeso il diritto di tutti i brasiliani a protestare. I prossimi mesi saranno tutt’altro che semplici: le misure d’austerità adottate all’inizio dell’anno per correggere i conti pubblici non piacciono alla maggioranza della popolazione, l’inflazione aumenta e il real ha perso valore rispetto al dollaro. Una parte dei brasiliani difende ancora il governo e soprattutto i risultati delle politiche sociali ottenuti prima con Lula da Silva e ora con Rousseff, ma è probabile che alla manifestazione del 15 marzo ne seguiranno altre. Anche perché le risposte date finora dalla presidente e dai suoi ministri sono state piuttosto deboli.

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