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Cinque proposte per mantenere viva ed efficace la scuola

La classe di un liceo di Ferrara, 15 ottobre 2020. (Luca Santini, Contrasto)

È poco più di un mese che la scuola italiana, tra mille dubbi e aspettative, è stata rimessa in moto. Lo slancio e gli entusiasmi iniziali, però, sembrano già rovinare in una rotta disordinata. La situazione generale nel paese, sempre più allineata a quella europea per gravità e diffusione del contagio, esercita sulla scuola una pressione ogni giorno più forte. Lo testimoniano un dibattito pubblico ormai convulso e una sempre più febbrile attività del governo, che incalzato dalle regioni è arrivato di decreto in decreto a stabilire la didattica digitale integrata (Ddi) al 75 per cento per le scuole superiori.

Si spera che il provvedimento raggiunga gli effetti desiderati. Intanto, in questo mese di riapertura il ritmo quotidiano delle attività è diventato irriconoscibile: con un terzo o metà del corpo docenti in quarantena, classi presenti a macchia di leopardo e attese lunghissime per i tamponi, tutto è apparso instabile.

Bisogna serenamente constatare che la preparazione estiva alla riapertura è stata laboriosa, ma priva di risultati apprezzabili. Il governo aveva riposto grandi speranze nei banchi monoposto, ma le classi stanno andando in quarantena senza che siano arrivati, mentre per i trasporti, semplicemente, non si è andati oltre i calcoli da tovagliolo: nei fatti non sono state potenziate le corse, non è aumentata la frequenza e l’affollamento sui mezzi è rimasto lo stesso di sempre.

Decreti e confusione
Molte delle ipotesi di lavoro erano sul tavolo da mesi, ma alla fine tutto è stato fatto in meno di una settimana. Il dpcm del 19 ottobre, quello che disponeva turni e orari di ingresso diversi, era raffazzonato come un compito consegnato al suono della campanella e ha avuto bisogno di note esplicative fin nella punteggiatura. Questo di certo non ha aiutato le scuole, che si sono affannate a rispondere alle richieste del ministero salvo poi ricevere un altro dpcm meno di una settimana dopo.

La lotta per la didattica in presenza sta subendo colpi molto forti, a dispetto delle prese di posizione della ministra Lucia Azzolina: già prima del dpcm del 25 ottobre diverse regioni, guidate da Campania e Lombardia, avevano autonomamente deciso di tenere a casa tutti gli studenti. Si vedrà se con quest’ultimo provvedimento il governo riuscirà a riprendere il controllo della situazione.

Ora freddezza e raziocinio diventano essenziali. Il compito della scuola è uno solo: riuscire a contenere i danni e tenere in piedi uno dei servizi fondamentali dello stato. Con la Ddi al 75 per cento il governo è finalmente arrivato, forse, a una percentuale sufficiente per garantire davvero la sicurezza, a scuola come sui mezzi di trasporto.

Cosa serve alla didattica
È questo il senso profondo della didattica digitale integrata, che non è semplice didattica a distanza e non è più argomento da oziosa diatriba tra pedagogisti: è l’ultima spiaggia. Le energie spese a esorcizzarla, con argomenti spesso di tipo ideologico e fuori dal tempo, sarebbero state meglio impiegate nello svilupparla, ma ora è inutile recriminare sulla nostra sostanziale improntitudine.

L’obiettivo ora è mantenere viva l’attività didattica e la sua continuità. Per fare questo servono diverse cose.

  1. La possibilità dei docenti sani ma in quarantena di lavorare da remoto.
  2. Le attrezzature tecnologiche per gli studenti e le linee veloci in tutte le scuole.
  3. La prosecuzione delle attività in presenza, sia pure ridotte.
  4. Una didattica che sia effettivamente gestibile online, grazie anche all’integrazione con le attività in presenza.
  5. Una gestione delle quarantene più rapida ed efficiente, ma che non compete alle scuole.

Il governo sta lavorando a rendere possibile il primo punto. Un decreto del ministero della pubblica amministrazione ha finalmente risolto il problema, anche se con un mese e mezzo di ritardo; però aspettiamo ancora la circolare del ministero dell’istruzione. Ci si augura che ciò sia sufficiente, ma probabilmente quel che si otterrà sarà di avere le scuole che vanno in ordine sparso e con ampi margini di volontarismo da parte dei docenti.

Per il secondo punto, le attrezzature tecnologiche in mano agli studenti sono state sostenute finanziariamente dal governo, ma anche in questo caso in ritardo: acquisti e forniture che dovevano essere pronti all’inizio dell’anno scolastico sono ancora adesso ingolfati nelle procedure burocratiche. Di fatto, bisognerà lavorare con quel che si ha. Per questo è particolarmente importante mantenere il più ampio margine possibile di presenza fisica, come si diceva nel terzo punto.

Mantenere una presenza fisica a scuola al 25 per cento significa poter distribuire e raccogliere materiali digitali senza gravare sulle connessioni delle famiglie, perché il download si può fare nei turni di presenza con la connessione della scuola.

L’ideale sarebbe poi non già diminuire il numero di classi a scuola, ma di studenti per ogni classe. In questo modo tutti gli studenti godrebbero di didattica in presenza a ritmi abbastanza frequenti, alla peggio un giorno su quattro. I vantaggi epidemiologici di un tale approccio sono evidenti: in caso di quarantena, solo una parte della classe verrebbe isolata, mentre gli altri gruppi subentrerebbero in presenza; nelle aule poi le distanze potrebbero veramente essere rispettate, a maggior tutela anche dei docenti. Ironico sarebbe avere una scuola con due terzi di aule vuote e un terzo di aule ben zeppe di studenti. Ovviamente, salvaguardare la presenza fisica rimane essenziale per gli studenti con disabilità o con altri bisogni speciali. Vale la pena di sottolineare che con scuole dove la presenza di ragazze e ragazzi è al 25 per cento, cala al 25 per cento anche il fabbisogno di test giornalieri; il test pooling o i test antigenici saranno più gestibili e il governo non avrà più scuse per non farli.

Gioco di squadra
Per venire al quarto punto, la didattica che si dovrà mettere in campo non può essere più quella improvvisata del marzo scorso o quella basata su uno streaming indiscriminato. Chi sa fare una Ddi efficace è il caso che si metta a disposizione di chi ha più difficoltà. È tempo che i docenti imparino a fare quel gioco di squadra che cercano di insegnare ai loro studenti. Nessuno si senta offeso o escluso, tutti si mettano in gioco. Il ministero aveva cominciato a percorrere questa strada, ma è rimasto vittima della propria incompetenza pedagogica, finendo semplicemente per offrire lezioni registrate.

Sarà il caso di individuare in ogni dipartimento un nucleo di docenti esperti che propongano modelli, esempi e spunti con grande attenzione anche a cosa si può fare online per una valutazione che non sia semplicemente un interrogatorio a distanza.

Ai dirigenti scolastici sarà chiesto di esercitare meglio che possono la loro leadership educativa. In una situazione tesa come quella attuale molte decisioni andranno prese rapidamente e questo genererà malcontento e resistenze. Diventerà essenziale saper comunicare modi e scopi di ogni attività. Se non c’è tempo di convincere sempre tutti, c’è almeno il tempo per far capire la ratio di quel che si sceglie di fare. Il ministero, a sua volta, deve mettere i dirigenti in condizione di non dover rovesciare su studenti e docenti richieste assurde ma obbligatorie.

Una nota finale: quel che urta profondamente è che la situazione attuale era stata ampiamente prevista. Le cinque idee appena proposte non sono né difficili né astruse, così come non era difficile prevedere di usare autobus turistici a sostegno di quelli del trasporto locale scolastico. Queste proposte dovevano essere preventive e ora sono emergenziali, forse già superate dagli eventi. L’augurio è di non doverci nuovamente tutti rintanare in una didattica a distanza tombale.

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