20 ottobre 2020 11:03

All’inizio di agosto i primi studenti statunitensi sono tornati in classe dopo essere rimasti a casa per mesi a causa della pandemia. In stati come la Georgia, l’Indiana e la Florida molte scuole hanno riaperto in aree dove i contagi giornalieri erano ancora numerosi. Genitori, insegnanti ed esperti sanitari hanno espresso preoccupazione. Il New York Times ha scritto che in alcune zone della Georgia le scuole con almeno mille alunni avrebbero potuto avere fino a trenta studenti positivi alla settimana. Molti hanno previsto che i contagi nelle scuole sarebbero aumentati drasticamente e si sarebbero allargati alle comunità circostanti, innescando nuove ondate. Sui social network gli utenti hanno condiviso immagini di corridoi affollati e studenti senza mascherina.

In altre regioni degli Stati Uniti la paura e le notizie diffuse dai mezzi d’informazione hanno portato le autorità a ritardare o perfino ad annullare la riapertura delle scuole. Molti grandi distretti scolastici di alcune città hanno scelto di non riprendere le lezioni in presenza, anche se i tassi di contagio erano relativamente bassi. A Chicago, a Los Angeles e a Houston le lezioni sono ancora tutte a distanza, almeno per il momento.

Sono passati due mesi dalle prime riaperture e cominciamo ad avere un quadro più preciso sulle loro conseguenze. Tutti i dati puntano nella stessa direzione: le scuole non sembrano essere ambienti particolarmente contagiosi.

Lo zero non esiste
Da circa due mesi lavoro con un gruppo di analisti di dati presso l’azienda tecnologica Qualtrics, oltre che con le associazioni dei dirigenti e dei sovrintendenti scolastici. Abbiamo raccolto dati sull’incidenza del covid-19 nelle scuole durante le ultime due settimane di settembre, relativi a circa duecentomila studenti in quarantasette stati. Il tasso di contagio rilevato è dello 0,13 per cento tra gli studenti e dello 0,24 per cento tra il personale scolastico, cioè 1,3 contagi nell’arco di due settimane in una scuola con mille studenti e 2,2 contagi in un gruppo di mille dipendenti scolastici. Anche nelle aree più a rischio del paese i tassi di contagio degli studenti sono ben al di sotto dello 0,5 per cento (qui ci sono dati più completi).

I dati scolastici raccolti da altre fonti mostrano tassi di contagio altrettanto contenuti. Le autorità del Texas hanno annunciato 1.490 casi tra gli studenti nella settimana tra il 21 e il 27 settembre, su un totale di 1.080.317 alunni, cioè lo 0,14 per cento. Il tasso di contagio tra i dipendenti era ancora più basso, lo 0,10 per cento.

Questi numeri non sono pari a zero, e quindi alcune persone continuano a essere preoccupate. Ma lo zero non è un’aspettativa realistica. Sappiamo che i bambini, anche se tendono a sviluppare forme meno gravi di covid-19, possono comunque ammalarsi. Inoltre, anche se non ci fosse nessun contagio tra le mura scolastiche, è impossibile rendere le scuole completamente immuni, perché studenti e insegnanti possono ammalarsi fuori delle scuole. Resta il fatto che i numeri sono contenuti, più di quanto molti si aspettassero.

Il timore che la riapertura delle scuole potesse danneggiare le comunità circostanti si è dimostrato altrettanto esagerato. In stati come la Florida i dati preliminari non mostrano aumenti dei contagi dovuti alla ripresa delle lezioni in presenza. In Georgia il tasso di infezioni ha continuato a calare nel corso dell’ultimo mese. Questo forse spiega perché si leggono molti articoli sui focolai nelle università e pochissimi sui contagi nelle scuole elementari, medie e superiori.

Le ripercussioni negative della chiusura non colpiscono solo gli studenti ma anche i genitori

Qualcuno continuerà a pensare che sarebbe meglio evitare qualsiasi rischio e che le scuole dovrebbero essere completamente sicure prima di accogliere gli studenti. Ma questo approccio ignora le conseguenze della chiusura sul futuro degli studenti.

L’interruzione delle lezioni in presenza durante la primavera ha prodotto carenze di apprendimento. Su ProPublica è uscito un articolo inquietante che racconta le difficoltà di un bambino che non ha potuto frequentare la sua scuola. È un caso singolo, ma sicuramente tante famiglie si sono trovate nella stessa situazione. Gli studenti penalizzati dalla chiusura delle scuole sono soprattutto ragazzi appartenenti alle minoranze che provengono da famiglie con redditi bassi.

Negli Stati Uniti c’è già molta disuguaglianza nel sistema educativo, ma le chiusure peggiorano la situazioni. La didattica a distanza è un’alternativa, ma non sempre gli alunni riescono a frequentare le lezioni. Inoltre i pediatri hanno collegato l’apprendimento da casa a un aumento dei livelli di stress.

Le ripercussioni negative della chiusura non colpiscono solo gli studenti ma anche i genitori. Le autorità locali statunitensi hanno riconosciuto la necessità di garantire un sostegno ai genitori che non possono permettersi di interrompere l’attività lavorativa per badare ai figli, ma il risultato è stato una serie confusa di opzioni. Il comune di Houston, per esempio, ha aperto alcune scuole trasformandole in centri per l’apprendimento in remoto, mentre le autorità di Los Angeles hanno messo a disposizione degli studenti delle famiglie povere alcune strutture alternative.

Ma questa soluzione suscita inevitabilmente una domanda: se la scuola non è sicura per tutti, come può essere considerata sicura per gli studenti che vengono da famiglie povere? O viceversa: se la scuola è sicura per gli studenti più poveri, perché non lo è per tutti gli altri?

I governatori democratici – che dicono di rispettare la scienza e prendono spesso le distanze dall’amministrazione Trump – non sembrano consapevoli di questa discrepanza. Il 5 ottobre Andrew Cuomo, il governatore dello stato di New York, ha detto che le attività commerciali, a differenza delle scuole, non fanno aumentare i contagi, e ha annunciato che chiuderà gli istituti scolastici nelle aree più colpite dal virus.

Cosa succederà nelle prossime settimane? Personalmente continuerò a raccogliere dati per cercare di capire meglio le tendenze in corso e quali siano le condizioni per una riapertura “sicura”. Spero che molte scuole e distretti possano valutare i dati e trovare il modo migliore per riaprire gli istituti. Non vogliamo essere irresponsabili né mettere in pericolo nessuno. Ma non possiamo dimenticare che la chiusura prolungata delle scuole presenta rischi assolutamente reali.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è uscito su The Atlantic.

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